Final Destination 5 - la recensione
L'ultimo capitolo della saga con la Morte al lavoro è il secondo in 3D e il più vicino, come spirito e sceneggiatura, al primo storico episodio...
Miles Fisher. Ve lo ricordate? Era quel venticinquenne che tre anni fa scimmiottava Tom Cruise in Superhero Movie prendendo in giro il famoso video in cui la star hollywoodiana parlava di Scientology con il maglione a collo alto e una serie di risate improvvise senza senso. Rivedere oggi quell'imitazione di Fisher fa ancora un certo effetto: è chiaro che il ragazzo ha qualcosa di magico, sembra il fratello più cattivo del Tom Crooze di Ben Stiller.
E' sempre stato un franchise dannatamente simpatico. Ha lanciato Ali Larter, quasi lanciato Damon Sawa, aiutato Mary Elizabeth Winstead, Seann William Scott e mostrato il talento sbarazzino di registi come James Wong e dell'ex stuntman David R. Ellis. Più che altro ci ha sempre proposto delle morti iperboliche, assurde, cattivissime senza il ricatto cinematografico del pathos che anche nel più brutale slasher spesso fa capolino. Diciamo che Final Destination è più anti-psicologico di tanti prodotti usciti da Hollywood. Anche se i realizzatori ricercano una certa empatia tra spettatore e personaggi (un ragazzo e una ragazza sensibile a capitolo ci sono sempre), la spietatezza prevale quasi sempre sulla sicurezza degli affetti e l'happy ending può essere spesso messo in discussione. Abbiamo sempre riso come matti vedendo questi giovani americani morire infilzati da una bombola, decapitati da una ruota di macchina da corsa, risucchiati dallo scarico di una piscina (The Final Destination 3D del più cattivo Ellis), abbrustoliti dentro un pacifico solarium (Final Destination 3 del più spiritoso Wong), messi sotto improvvisamente da pullman a tutta velocità (la bionda del primo Final Destination di Wong in una scena copiatissima nell'ultimo decennio, anche dalle pubblicità).
Dopo aver visto il film... prima di prendere in giro le forme grasse di una statua di Buddha, ad esempio, ci penserete due volte. Grande colpo di scena finale per niente stupido che piacerà molto ai tanti fan dell'indimenticabile primo episodio. Miles Fisher? Fantastico. Soprattutto quando perde la testa nella seconda parte del film. Dirige Steven Quale, ex collaboratore di James Cameron. Mano ferma, solido mestierante.