Final Destination 5 - la recensione

L'ultimo capitolo della saga con la Morte al lavoro è il secondo in 3D e il più vicino, come spirito e sceneggiatura, al primo storico episodio...

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Miles Fisher. Ve lo ricordate? Era quel venticinquenne che tre anni fa scimmiottava Tom Cruise in Superhero Movie prendendo in giro il famoso video in cui la star hollywoodiana parlava di Scientology con il maglione a collo alto e una serie di risate improvvise senza senso. Rivedere oggi quell'imitazione di Fisher fa ancora un certo effetto: è chiaro che il ragazzo ha qualcosa di magico, sembra il fratello più cattivo del Tom Crooze di Ben Stiller.

Prima di ritrovarlo nel prossimo film di Clint Eastwood J. Edgar, è un piacere riconoscere questo incrocio tra Christian Bale e Cruise, già star di video virali su You Tube e cantante di un gruppo musicale, tra i protagonisti di Final Destination 5, il franchise nato nel 2000 in cui la Morte, rappresentata da un minaccioso movimento dell'aria sussurrante (meno ridicolo di quello di E venne il giorno di Shyamalan), si vendica di quei ragazzini che le sfuggono di mano grazie a salvifici deja vu premonitori.

E' sempre stato un franchise dannatamente simpatico. Ha lanciato Ali Larter, quasi lanciato Damon Sawa, aiutato Mary Elizabeth Winstead, Seann William Scott e mostrato il talento sbarazzino di registi come James Wong e dell'ex stuntman David R. Ellis. Più che altro ci ha sempre proposto delle morti iperboliche, assurde, cattivissime senza il ricatto cinematografico del pathos che anche nel più brutale slasher spesso fa capolino. Diciamo che Final Destination è più anti-psicologico di tanti prodotti usciti da Hollywood. Anche se i realizzatori ricercano una certa empatia tra spettatore e personaggi (un ragazzo e una ragazza sensibile a capitolo ci sono sempre), la spietatezza prevale quasi sempre sulla sicurezza degli affetti e l'happy ending può essere spesso messo in discussione. Abbiamo sempre riso come matti vedendo questi giovani americani morire infilzati da una bombola, decapitati da una ruota di macchina da corsa, risucchiati dallo scarico di una piscina (The Final Destination 3D del più cattivo Ellis), abbrustoliti dentro un pacifico solarium (Final Destination 3 del più spiritoso Wong), messi sotto improvvisamente da pullman a tutta velocità (la bionda del primo Final Destination di Wong in una scena copiatissima nell'ultimo decennio, anche dalle pubblicità).

Quali sono le novità di questo ultimo capitolo? Torna il gigantesco Mr. Bludworth di Tony Todd (era mancato nel quarto capitolo in 3D) con lo scopo di avvertire i personaggi dei piani malefici del Tristo Mietitore, le vittime sono anagraficamente più grandi trattandosi di un ufficio intero di impiegati in gita aziendale (metafora della crisi economica?), il 3D è basico ma gustoso (tanti oggetti che escono dallo schermo per venire incontro allo spettatore fin dai titoli di testa) e le morti sono sempre molto creative e cattive.

Dopo aver visto il film... prima di prendere in giro le forme grasse di una statua di Buddha, ad esempio, ci penserete due volte. Grande colpo di scena finale per niente stupido che piacerà molto ai tanti fan dell'indimenticabile primo episodio. Miles Fisher? Fantastico. Soprattutto quando perde la testa nella seconda parte del film. Dirige Steven Quale, ex collaboratore di James Cameron. Mano ferma, solido mestierante.

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