Feud 1x05, "And The Winner Is… (The Oscars Of 1963)": la recensione

Nel quinto episodio della prima stagione di Feud, Joan ottiene un' insperata vendetta su Bette, con una vittoria dal retrogusto amaro

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Ci era stato detto fin da subito: le faide non riguardano l'odio, ma il dolore. Così Olivia de Havilland (Catherine Zeta-Jones) apostrofava il suo intervistatore nel pilot di Feud; mai quanto in questo quinto episodio, scritto e diretto da Ryan Murphy, le parole dell'attrice britannica assumono un valore che si estende dalla prima all'ultima scena. È, quella mostrata in And The Winner Is… (The Oscars Of 1963), una battaglia figlia del dolore più straziato, una guerra quasi grottesca attorno a una statuetta che materializza, in sé, tutte le fragilità di Bette Davis, data per favorita per l'Oscar alla Migliore Attrice Protagonista, e di Joan Crawford, gravata da un ancestrale complesso d'inferiorità nei confronti della rivale; complesso che l'ha seguita come un fantasma persino nei momenti più radiosi della sua carriera, adombrando ogni successo con la nube dell'insicurezza.

Se vi era stata, fino a questo momento, una sorta di zona grigia in cui Bette e Joan avrebbero potuto, con tutta la circospezione del caso, essere forse non amiche, ma almeno simpatizzanti, la corsa all'Oscar azzera definitivamente (?) questa possibilità. Sebbene Joan risulti fuori dai giochi dopo la mancata nomination, una perfida strategia suggerita da Hedda Hopper la porta a screditare con subdola sottigliezza Bette agli occhi dei membri dell'Academy, assicurandosi al contempo la possibilità di ritirare il premio al posto delle altre due favorite, Anne Bancroft e Geraldine Paige (quest'ultima interpretata da una delle stelle fisse di Murphy, Sarah Paulson).

La disfatta di Bette arriva puntuale, preannunciata da un meraviglioso piano sequenza che segue Joan nel dietro le quinte del teatro dove si sta svolgendo la cerimonia di premiazione, spavalda mentre pregusta la propria bizzarra vittoria su delega passando per le latrine maschili, fino a giungere al lato del palco dove, a sorpresa, entrerà al posto dell'odiata rivale, per stringere l'Oscar negato a entrambe. Ciò che si cela dietro la conquista della statuetta viene efficacemente spiegato da Bette in un toccante dialogo con Olivia, e connota ancora una volta Feud come la parabola tragica di due donne costrette a rintracciare nel successo la certificazione dello status di amate. La faida nasce, quindi, non solo dal dolore, ma anche dalla mancanza d'amore; amore che, stando ai fatti, sembra non essere mancato nella vita di Anne Bancroft o di Geraldine Paige, illuminate da una giovinezza che consente loro di cedere senza rimpianti la possibilità di ritirare l'eventuale premio.

Se le azioni di Joan risultano a prescindere ingiustificabili, è la reazione di Bette alla sconfitta a commuoverci maggiormente, grazie anche alla potenza drammatica della performance di Susan Sarandon. A nulla vale il tentativo consolatorio dell'amica Olivia: Bette sa, in cuor suo, che non ci sarà un'altra occasione, e che quella mancata vittoria reca impressa la firma di Joan a chiare lettere. Riecheggiano nella memoria le sue parole, quando aveva confessato di essersi sentita davvero amata stringendo la statuetta tra le mani. Tuttavia, in quella che sembra essere una valle di lacrime irrimediabilmente allagata dalla più aggressiva competitività, una luce rischiara il paesaggio: si tratta proprio del rapporto di Bette con Olivia, giustapposto alla coltre di odio che la separa da Joan. Persino nel diabolico circo dorato di Hollywood, dove la stampa non si fa scrupolo alcuno nell'alimentare l'astio tra due sorelle (nutriamo la folle, irreale speranza di una stagione di Feud dedicata al contrasto Fontaine-De Havilland), un'amicizia sincera e scevra da invidie è possibile.

A tre episodi dalla fine della prima stagione, si apre uno scenario incerto e plausibilmente solcato di ulteriore dramma per le due stelle in declino: l'ultima inquadratura della puntata evidenzia con sarcasmo la fallacità della rivalsa di Joan, che affianca l'Oscar ritirato per conto di Anne Bancroft a quello vinto, diciotto anni prima, per Il Romanzo di Mildred. Esauriti i flash della premiazione, l'eterna seconda si trova di fronte alla propria solitudine, ancor più enfatizzata dalla presenza di quella statuetta da cui dovrà ben presto separarsi: si sfalda dinnanzi ai nostri occhi il ritratto del trionfo, ripiegandosi su se stesso nella grigia cornice di una vendetta che corrode, in primis, chi l'ha messa in atto.

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