Feud 1x03, "Mommie Dearest": la recensione

Il terzo episodio di Feud offre uno sguardo più ravvicinato alle dinamiche familiari di Bette e Joan, e approfondisce il rapporto tra Davis e Victor Buono

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Un efficace cambio di sfumatura caratterizza Mommie Dearest, terza puntata della prima stagione di Feud, che si apre su un tipico quadro adolescenziale, una finestra sull'età acerba che la serie di Ryan Murphy finora aveva tenuto in secondo piano: in esso vediamo Barbara detta BD, figlia di Bette Davis, insegnare alle due giovanissime figlie di Joan Crawford a fumare per attirare le attenzioni dei coetanei. La madre delle ragazze assiste alla scena, denuncia il tutto alla collega Bette e le consiglia di occupare la sua pargola con qualche compito che la distolga dal vizio, mentre costringe le figlie minori in panni infantili che non si addicono alle loro forme già in pieno sviluppo. Tanto per le due gemelle quanto per la primogenita Christina, attrice debuttante a teatro, la Crawford è mommie dearest, mammina cara, titolo del bestseller autobiografico (da cui l'omonimo film con Faye Dunaway) con il quale la figlia ormai cresciuta dipinse il feroce ritratto di una madre oppressiva e tirannica.

Mommie Dearest segna un passaggio di testimone nella regia di Feud, dal creatore Ryan Murphy a Gwyneth Horder-Payton, che non cessa di mettere sotto i riflettori la femminilità, in tutte le sue contraddittorie sfaccettature, e che assume in questo episodio i tratti del dramma familiare. Sia Bette che Joan vivono, infatti, un profondo conflitto con gli anni che passano, conflitto che si riflette nella necessità di rallentare la crescita delle figlie attraverso stratagemmi che spaziano da soffocante al negligente.  Nelle comuni, benché opposte, difficoltà a gestire l'educazione della prole, Bette e Joan si incontrano e svelano le loro ennesime fragilità, rievocando inoltre una scoperta del sesso diametralmente opposta: se Bette perde la verginità a ventisette anni, dopo le nozze col primo marito, Joan viene introdotta alle pratiche amatorie a undici anni dal patrigno, e per questo allontanata dalla madre e confinata in un collegio. "È stata colpa mia," insiste Joan, e in queste parole intravediamo una dinamica fin troppo comune tra le vittime di stupro, talvolta portate a colpevolizzarsi per quanto accaduto.

Il rapporto madre-figlia è uno dei punti focali di questo terzo episodio, esemplificato non solo dai duetti Bette - BD e Joan - gemelle, ma anche dal ricordo del legame delle due dive con le rispettive madri: Bette, figlia adorata, si contrappone anche in questo a Joan, ignorata e lasciata preda delle sevizie del patrigno. "Credo che mia madre sia stata la mia unica amica," afferma Bette e, benché l'affermazione appaia ai nostri occhi piuttosto desolante, la risposta di Joan lo è ancor di più: "Sei fortunata." Ritorna così, ancora una volta declinato in una nuova variante, il tema della mancata solidarietà femminile, non solo precluso alle due compagne di set, ma anche - almeno dalla parte di Joan - figlio di un difficile contesto familiare, diretta conseguenza di una mancata elaborazione del primo riferimento muliebre che ci venga dato dalla vita, nonché prima alleata che una bambina dovrebbe avere.

In un fugace momento di tregua, a seguito delle rispettive confessioni sul passato, le due protagoniste si ricordano tuttavia di essere schierate fianco a fianco nella battaglia per il successo della loro creatura cinematografica: Joan fa parziale marcia indietro con Hedda Hopper, ritirando le voci sull'olezzo emanato da Bette sul set, ma elaborando a suo modo un'affermazione estorta durante lo schietto testa a testa serale. La pace s'interrompe, il conflitto si riaccende: le riprese di Che fine ha fatto Baby Jane? non sono ancora finite, e le due dive già si contendono l'Oscar come Miglior Attrice Protagonista. "Sei finito in un altro film di guerra, dopotutto," osserva con sagacia l'aiuto regista Pauline rivolgendosi al regista Robert Aldrich.

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Ma non spirano solo venti di guerra in Mommie Dearest: se la scelta di Victor Buono come comprimario suscita inizialmente la perplessità di Bette, che mette in discussione il curriculum del ragazzo con Aldrich, le difficoltà incontrate nel preparare la figlia BD alla particina che reciterà nel film spingono ben presto la diva a riconoscere l'indubbio talento del giovane attore teatrale, da sempre abituato a interpretare ruoli più maturi e ironicamente scambiato, fuori da un locale gay, per il ben più anziano Charles Laughton, morto proprio nel 1962 (citazione che strizza l'occhio alla mai dichiarata omosessualità del grande attore britannico). La crescente sintonia tra Bette e Victor trova coronamento in una deliziosa conversazione che fa assurgere la diva ad autentica icona gay, attraverso l'acuta osservazione: "Ho capito di essere diventata qualcuno solo quando i travestiti hanno iniziato a imitarmi nei loro spettacoli."

A una prima occhiata, il rapporto tra Buono e Davis sembrerebbe ricalcare uno schema usurato in cui sovente il cinema ha inserito personaggi omosessuali: tuttavia, calato in un contesto come quello già accuratamente delineato in questi primi tre episodi, il rapporto tra i due attori conquista una coerenza e una credibilità psicologica avvalorata dal già citato scenario bellico in cui le donne si muovono l'una contro l'altra, a unico vantaggio del maschio di turno (Warner, Aldrich) che trae i massimi benefici dalle loro scaramucce. Una figura come quella di Victor si staglia (assieme a Mamacita) al di sopra delle piccole meschinità finora mostrate dalla serie FX, attraverso la semplice eppur paradossale affermazione: "Non mi piace mentire." In un mondo di menzogne, di maschere, di strategie, Victor finisce dietro le sbarre per il suo peccato, e a mentire per coprire la vergogna della sua diversità non è lui, ma l'amica Bette.

Fa riflettere, in antitesi alla sequenza con Buono, quella dedicata allo scambio tra Bette e la linguacciuta Hedda Hopper, lucida accusa a una stampa pruriginosa - tuttora esistente - che crocifigge proprio le donne che dovrebbe tutelare, esponendole ai pettegoli attacchi degli altri esponenti del gentil sesso. La galleria di ritratti femminili di Feud continua ad arricchirsi di nuove pennellate, che ne accrescono di volta in volta il lato grottesco così come quello meramente poetico: e commuove la caparbietà con cui Joan si ostina a ringiovanire mediante i tiranti (o, più sottilmente, attraverso l'ennesima adozione), mentre a Bette basta solo uno sguardo, un sorriso, un gesto, per incantare tutta la troupe in spiaggia. "Credo siano i riflettori che sto usando," dichiara incerto il direttore della fotografia, Ernest Haller. "È la recitazione," replica Aldrich, conscio del sortilegio che un'artista come Bette può mettere in atto. In un ovvio parallelismo, anche noi ci stupiamo con lui, per questo gioco di scatole cinesi che esalta, attraverso la rappresentazione delle meccaniche attoriali su un set, l'eccezionalità delle due protagoniste di Feud. Se tra Davis e Crawford il duello per la supremazia è all'ultimo sangue, tra Sarandon e Lange appare realistico pronosticare già un ex aequo di qualità siderale.

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