Feud 1x02: la recensione
Il secondo episodio di Feud enfatizza i temi già presentati nel pilot, ponendo l'accento sulla manipolazione di Bette e Joan da parte di Aldrich e Warner
La puntata di questa settimana riprende i medesimi temi già presentati nel pilot, elaborandoli in una chiave leggermente meno sottile, in un lavoro sceneggiatoriale che, più di una volta, sfiora il didascalismo. Tuttavia, l'intreccio principale si focalizza su un nuovo elemento drammatico, tanto coinvolgente da suggestionare e commuovere lo spettatore, solleticando la sua capacità empatica e accentuando la solidarietà nei confronti di Davis e Crawford: due gigantesse ridotte a marionette da una mentalità competitiva figlia del capitalismo tanto quanto di secoli di mercificazione sessuale, che lottano per restare a galla in un mondo che le vuole relegare a idoli per le nonne, come ben esemplificato dalla scena d'apertura dell'episodio.
Sotto la patina dorata e i riflettori, c'è un caleidoscopio ben meno rutilante di problemi quotidiani, e il desiderio di gloria si va a sposare con la difficoltà di fronteggiare uno stile di vita che non ci si può più permettere, mentre le rughe si moltiplicano sul volto. L'economia si sposa con l'ambizione, l'arte si muove secondo le correnti del denaro, i sentimenti stessi vengono assoggettati alle logiche di mercato: la moglie di Aldrich piange sommessamente, consapevole dell'adulterio del marito e conscia, tuttavia, dell'ineluttabilità di certe dinamiche di potere interne al mondo del cinema, le stesse che potranno garantire a lei e alla sua famiglia una vita hollywoodianamente dignitosa. Ecco quindi che Feud, parallelamente allo stuzzicante racconto di una rivalità, si configura sempre più come un saggio e mai dichiarato riflesso aberrato della società del consumo.