Feud 1x01: la recensione
Sfugge alla trappola del puro manierismo nostalgico il primo episodio di Feud, sorretto da un cast eccezionale e da una scrittura sagacemente attuale
In tutta franchezza, l'operazione Feud poteva sembrare, sulla carta, nulla più di un ammiccante susseguirsi di botta e risposta tra le due gigantesse che vi rivestono i ruoli principali: Jessica Lange, ingabbiata nei sorrisi di circostanza della sua Joan Crawford, e Susan Sarandon, esausta e incattivita vipera di genialità per dar corpo e anima a Bette Davis. A voler essere ottimisti, ci si sarebbe potuti aspettare un intrigante spaccato ricolmo d'indiscrezioni e personaggi coloriti, nonché una buona occasione per rivivere il fascino di un'epoca cinematografica ormai lontana e ammantata, ai nostri occhi, dell'indiscusso fascino aberrante della nostalgia.
Già dai suoi primi passi, la serie dimostra - dietro una ricostruzione impeccabile - un intento attualizzante che fa onore all'intelligenza dei suoi autori. Joan, ormai superato il fulgore della sua giovinezza, non riceve più offerte allettanti: qui la serie di Murphy compie il salto, creando un immediato ed efficace parallelo con una stolida declinazione sessista dell'industria cinematografica che ancora, a cinquantacinque anni di distanza, stenta a essere superata. Invece di arrendersi, come molte colleghe ormai considerate poco appetibili a causa dello scorrere inesorabile del tempo, Joan si rimbocca le maniche e trova il ruolo per lei in una pila di libri accumulati dalla fedele Mamacita, scovando una parte che non sia quella della nonna di Elvis. Da grande donna, prima ancora che da grande attrice, comprende di dover trovare una coprotagonista in grado di reggere il confronto con lei: la scelta ricade su Bette Davis, star di prima grandezza negli anni in cui anche Joan spadroneggiava, ma che a teatro è costretta ad appassire in ruoli secondari. "Se qualcosa deve accadere, spetta a noi farlo accadere," suggerisce Joan, facendo leva su una solidarietà femminile che dovrebbe andare oltre la radicata rivalità maturata in anni e anni di circospetta osservazione a distanza, in un percorso costellato di ruoli soffiati, fidanzati rubati, matrimoni rovinati.
È questa la storia di Bette e Joan ma, sembra suggerirci Murphy, è anche la storia di un intero mondo muliebre che da sempre stenta a trovare supporto al proprio interno, limitandosi a gelosie intestine e a ridursi un nugolo di nemiche l'una contro l'altra armate, in nome di una supremazia agli occhi del maschio che le ha rese fin troppo spesso ostacolo al raggiungimento della parità sessuale. Le prime nemiche delle donne sono proprio le donne, si sente dire spesso, e Feud punta il dito coraggiosamente contro un istinto al massacro tanto naturale quanto devastante. È dura, per Joan e Bette, accettare le proprie rughe sottolineate dall'impietosa fotografia di Ernest Haller senza versare lacrime, così come è dura sopportarsi e supportarsi essendo state entrambe imperatrici: tuttavia la scena di chiusura, in cui le due attrici si spalleggiano durante una cena organizzata dalla malevola Hedda allo scopo di far scoppiare una guerra tra primedonne, sembra suggerire che una tregua sia non solo possibile, ma necessaria, e che possa - nel caso di Che fine ha fatto Baby Jane? - dar vita ad autentici miracoli.