Feria - La luce più oscura (prima stagione), la recensione

La recensione di Feria - la luce più oscura, la serie con Ana Tomeno e Carla Campra disponibile da oggi su Netflix in tutto il mondo

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La recensione di Feria - la luce più oscura, disponibile da oggi su Netflix

“Boris, io andrò all’inferno, lo sai? E tu sarai al mio fianco.”

Gli autori di Feria perdoneranno chi scrive qui per aver rubato una citazione altrove, ma crediamo che l’amara autocritica del regista René Ferretti davanti al suo pesce rosso ben si addica alla prima stagione della serie Netflix. Non tanto per i propositi del culto attorno a cui ruota la trama, quanto per la qualità infima della scrittura di questo iberico pasticcio horror.

Non dubitiamo che il prodotto in questione, con la sciatta miscela di erotismo trash ed esoterismo da serie Z, possa solleticare i palati meno raffinati; anzi, c’è da credere che il rinnovo della serie spagnola - ricercato attraverso una conclusione dozzinalmente aperta - sia proprio dietro l’angolo. Nulla di tutto ciò può però impedirci di lanciare un monito allo spettatore, onde prepararlo alla visione di questo guazzabuglio senza arte né parte.

Sesso, orrore e Andalusia

Raccontare di cosa parli Feria è, al netto delle numerose incoerenze interne, piuttosto facile: in una cittadina mineraria andalusa, una setta misteriosa miete ben 23 vittime in una sola notte. I capi del culto, scomparsi nel nulla, lasciano alle loro spalle due figlie adolescenti e spaesate, la diciannovenne Eva (Ana Tomeno) e la sedicenne Sofia (Carla Campra).

Additate dall’intero paese come complici silenti delle malefatte dei genitori, le ragazze si trovano ben presto in una spirale di sangue e occultismo che da anni coinvolge la comunità di Feria. Capire di chi ci si possa fidare è un’impresa ben più ardua del previsto, e le forze in ballo non appartengono tutte a questa dimensione.

Mentre la nebbia del mistero s’infittisce attorno alle due sorelle, entrambe devono combattere l’ardua battaglia dell’abbandono dell’infanzia, cercando la propria identità spesso a scapito dell’accettazione altrui. Detta così suona bene, vero? E invece…

Feria

Una serie spagnola

Partiamo da una premessa basilare: Feria è, in tutto e per tutto, una serie spagnola. Lo è nei quasi inesistenti pregi e nei moltissimi difetti, a partire dalla reiterazione di idee e situazioni riproposte al pubblico senza vergogna nel corso di questi otto episodi. Così come lo è nella CGI raccapricciante, che emerge sin dal primo, tremendo pan di apertura.

Lo è nel rozzo ritratto psicologico di Eva e Sofia; se con la prima non si contano le occasioni sprecate di approfondimento (specialmente considerando la buona prova di Tomeno), è la seconda a incarnare l’incoerenza di una sceneggiatura macchinosa, che spinge i personaggi a fare determinate cose al solo fine di far progredire la storia.

La trama va avanti, è vero, arrancando però sotto il peso dell’implausibilità e, peggio, di un’assoluta mancanza di empatia verso i protagonisti. L’unico personaggio vagamente sfaccettato, l’ispettore Guillen (Isak Férriz), nulla può per contrastare questo delirante microcosmo di uomini e donne che agiscono senza motivazioni.

… e Dio vide che era un disastro

Corollario della sceneggiatura amatoriale, ai ridicoli villain è riservata una recitazione satanicamente infervorata che tenta invano di riscattare la piattezza della scrittura. Del tutto privi del cosiddetto fascino del male, i cattivi di Feria si presentano da subito come una schematica squadra di freak: l’invasata perennemente nuda, l’albina, il paraplegico, il barbone. Si badi bene: non ci sono altre sfumature al di fuori di quelle qui elencate.

Occasionalmente, la banda di cui sopra evoca - usufruendo della sopracitata CGI a basso budget - un tenero gatto lucertola le cui modalità di azione variano senza apparente coerenza. Anche lui, purtroppo, cade schiavo delle necessità del plot.

Forse l’ideatore Carlos Montero (Elite) ritiene i propri spettatori così stolidi da tollerare inermi l’infinito loop di litigi, fughe e riconciliazioni tra le protagoniste. Calcolando il successo dei suoi precedenti lavori, c’è da credere che non si sbagli poi molto.

È quindi con la morte nel cuore che ci prepariamo al probabile successo di Feria. Al povero spettatore dotato di senso critico non resta che combattere a spada tratta contro la tentazione di spegnere lo schermo, aggrappandosi ai pochi punti di forza di una storia scadente e sbrindellata.

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