Felicità, la recensione | Festival di Venezia
Quello che sorprende di Felicità, l’esordio alla regia di Micaela Ramazzotti, è proprio come l’attrice, ora regista e quindi padrona della sua immagine, smonta e riassembla il pregiudizio del suo alter ego filmico
La recensione di Felicità, presentato nella sezione Orizzonti Extra al Festival di Venezia 2023
Quello che sorprende di Felicità, l’esordio alla regia di Micaela Ramazzotti, è proprio come l’attrice, ora regista e quindi padrona della sua immagine, smonta e riassembla il pregiudizio del suo alter ego filmico, mostrando un personaggio che della sua “solita” fragilità non fa un vessillo pietistico o facile, ma una caratteristica che può coesistere con una forza d’animo di ferro. Come a dire che la fragilità non è un difetto e che questa può benissimo coesistere con il suo opposto, e insieme a dire che il pregiudizio viene sempre dall’arroganza (come arrogante è il personaggio di Rubini, che le dice cosa dovrebbe dire, fare, mentre Desirè sembra dargli retta ma fa di testa sua) Felicità di Micaela Ramazzotti racconta di relazioni famigliari e amorose storte, complesse ma fortemente riconoscibili da molti, e ritrae un piccolo ma validissimo esempio delle violenze emotive che spesso vive una donna nell’Italia media di oggi.
Co-scritto da Ramazzotti, Isabella Cecchi e Alessandra Guidi, Felicità presenta un nucleo familiare sottilmente ma gravemente malato. La madre è un’ex parrucchiera narcisista, vede la malattia mentale come un taboo, pensa di amare il figlio e invece ne ama un’idea distorta, mentre dell’intraprendenza della figlia vede una minaccia personale; il padre, Max Mazzoni, è uno showman fallito erede di un’Italia e di una tv berlusconiana (molto divertente e genuina l’autoironia di Max Tortora), ignorante, opportunista.
Questi due personaggi sono la chiave per tutto quello che succede nel film, e quando sono tutti insieme ecco che il film letteralmente esplode. Altrettanto necessario a veicolare questo clima di molestie emotive è il compagno di Desirè, che pensa di essere migliore di loro e invece rivela che il vero deficit di quella relazione, e dei rapporti in generale, non è mai davvero di tipo intellettuale (e qui sta l’ulteriore intelligenza del film) ma sempre emotivo.
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