The Feeling That the Time for Doing Something Has Passed, la recensione

Il primo lungometraggio di Joanna Arnow è un ritratto lucido e senza sconti di una giovane donna dedita a pratiche BDSM

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La nostra recensione di The Feeling That the Time for Doing Something Has Passed, presentato nella sezione Quinzaine des cinéastes del Festival di Cannes 2023

Da Fleabag in giù, temi come l’awkwardness, l’esposizione del corpo e dell'interiorità femminile senza filtri, l’autofiction più sincera e problematica, sono ormai completamente sdoganati. The Feeling That the Time for Doing Something Has Passed, primo lungometraggio diJoanna Arnow, si colloca decisamente su questa linea, con un approccio peculiare. L’autrice ne è sceneggiatrice, regista e protagonista nei panni di Ann, trentenne newyorkese che si dedica a pratiche BDSM con diversi uomini, tra cui il più frequente è uno di mezz'età. La struttura del film si divide in capitoli dedicati ciascuno a uno di loro, che si rivelano tutti uguali, fino a Chris, con cui la ragazza sembra poter far nascere una relazione duratura.

Arnow aveva già abituato a mettere al centro se stessa e la propria sessualità nei precedenti lavori, come il corto Bad At Dancing, di cui questo film ne rappresenta l'espansione in un progetto a più ampio respiro. La rappresentazione di pratiche sessuali esplicite è la cifra che caratterizza l'opera fin dalle prime battute, ma a emergere è come queste non appaiano come fonte di piacere per la protagonista, ma come un meccanismo freddo e ripetitivo tanto quanto lo è il suo lavoro come impiegata di un grande azienda, dove occupa senza entusiasmo una posizione di basso profilo. Così come lo sono gli altri aspetti della sua vita: la sua quotidianità solitaria, gli incontri con genitori e pochi amici all'insegna dell'indifferenza. Si ride sovente per l'imbarazzo che creano certe dinamiche, ma sempre a denti stretti e con l'amaro in bocca.

La peculiarità di The Feeling... sta infatti in come, se è evidente l'intenzione di dare voce ad una femminilità particolare, non ci sia spazio per alcuna concessione al sentimentalismo o alla felicità, alcuna rivendicazione femminista, alcuna parabola per la protagonista. Ad Ann piace sottomettersi ad un "padrone" e sempre di questo va in cerca, anche se si rende conto che rimarrà perennemente insoddisfatta. "Chissà cosa penserebbero di te quelle della Women's March?", dice ad un certo punto uno dei suoi "padroni" mentre lei è travestita da "fuckpig". Arnow mette dunque al centro un personaggio complesso e difficile da accettare, senza via d'uscita e redenzione, e non viene mai meno ai suoi intenti.

La lucidità dell'operazione non evita però in fin dei conti al The Feeling... di cadere in un cortocircuito. La trama propone un continuo ripetersi di situazioni (gli incontri con gli uomini, le noiose giornate lavorative) che rispecchiamo l'impasse in cui vive la protagonista. Questo inevitabilmente però porta il film a incartarsi su ste stesso, a ripetere considerazioni e idee già chiarite in precedenza. La durata complessiva non supera i 90 minuti, ma si arriva alla fine con una certa fatica. Inoltre, se la dimensione del BDSM è quella per cui il film trova una propria voce all'interno del filone di cui si parlava prima, meno originale è quanto riflette sull'alienazione dell'ambiente lavorativo e delle vacuità degli slogan "esistenzialisti" pronti per i social che la protagonista ascolta e che non esita a deridere. Ma rimane fuori discussione che Arnow abbia una propria idea di cinema che speriamo di poter vedere presto in un secondo lungometraggio.

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