Federer: gli ultimi dodici giorni, la recensione

Negli ultimi dodici giorni di Roger Federer prima di chiudere con il tennis professionistico c'è meno cinema che in qualsiasi suo incontro

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Federer: gli ultimi dodici giorni, il documentario sul finale di carriera di Roger Federer disponibile su Prime Video.

Ha una storia strana questo documentario su Roger Federer e gli ultimi dodici giorni della sua vita da tennista professionista (dall’annuncio del ritiro fino alla fine della Laver Cup, un piccolo torneo tra celebrities del tennis organizzato come una festa). Nasce come video privato, cioè come produzione che Federer ha commissionato a Joe Sabia per avere memoria audiovisiva di quel momento preciso della sua vita. In seguito è stato deciso di farne un film e per questo è stato coinvolto Asif Kapadia. Tralasciando il fatto che si tratta di una produzione di livello incredibile per essere un video privato (ma i fondi non mancano), il fatto che poi il prodotto finito, arricchito di video d’epoca e interviste realizzate da Kapadia, sia quanto di più moscio e svogliato si sia visto da uno dei documentaristi più bastardi (nel senso cinematograficamente buono del termine) e capaci, sembra allora la logica conseguenza.

Federer: gli ultimi dodici giorni è un video domestico glorificato e sovraprodotto, che tuttavia non dà mai la sensazione di essere di fronte a qualcosa di intimo che viene rubato. Non ci si sente mai come la mosca nella stanza (come accade ad esempio guardando Get Back, la docuserie sui Beatles), ma ci si sente più come una presenza ingombrante. Tutti sono sempre molto consci della presenza di una videocamera, di un microfonista e del fatto che quello che dicono viene registrato. Non c’è stato evidentemente nessun modo di far ambientare le persone e farle abituare alla videocamera, l’illuminazione è curata per la camera e quindi tutto (dal vivo) deve essere suonato falso. Insomma, questa è un’intrusione nella vita di Federer che, nonostante la genesi sbandierata, suona costantemente come un momento promozionale.

Ovviamente il valore documentaristico, nel senso stretto del termine, rimane. Si tratta pur sempre del momento effettivo in cui il più grande e amato tennista di sempre preme “Invia” sul messaggio che ne annuncia il ritiro, e del momento in cui lui e il suo rivale e amico di sempre, due persone che hanno giocato ai massimi livelli tutta la carriera e sono arrivati a essere dipendenti l’uno dalla presenza dell’altro come avversario, si trovano per l’ultima volta su un campo da tennis in una partita, ma come alleati in un doppio invece che come avversari! Ma tutto questo, benché catturato dal documentario, era già nell’evento, era nella costruzione drammaturgica della loro carriera come la conosce qualsiasi appassionato ed era anche nelle immagini televisive della Laver Cup. Benché dunque valga la pena vedere Federer: gli ultimi dodici giorni anche solo per questa ragione, per la drammaturgia umana, in nessuna maniera Sabia, Kapadia, la loro messa in scena e il loro montaggio hanno influito nella creazione di questo momento audiovisivo, ne hanno offerto una lettura, ne hanno modificato la percezione o enfatizzato il senso.

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