Fear Street Parte 3: 1666: la recensione
Fear Street Parte 3: 1666 è un mediocre folk horror, ma una conclusione più che soddisfacente della trilogia di Leigh Jeniak
Il miglior complimento che si possa fare a Fear Street Parte 3: 1666, che chiude la (per ora) trilogia di Leigh Jeniak tratta dai romanzi di R.L. Stine, è che è sorprendente. Migliore perché più inaspettato: nel loro costante omaggiare gli horror del passato (di due decenni in particolare, gli anni Settanta e gli anni Novanta), i primi due capitoli di Fear Street passeggiavano sicuri su strade prevedibili, tra svolte già viste, rivelazioni che non lo erano e una tendenza costante a spiegarsi e ripetersi per non rischiare di perdere pubblico per strada.
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Non necessariamente dal punto di vista estetico e di messinscena: se il primo Fear Street era uno slasher anni Novanta vagamente Scream e il secondo era solo un altro Venerdì 13, 1666 è, indovinate un po’?, The Witch, però quando lo ordinate su Wish. Ambientato nell’anno che gli dà il titolo, quando ancora Shadyside e Sunnyvale erano unite e si chiamavano (didascalicamente, come da cifra stilistica di tutta la trilogia) Unity, è, o vorrebbe essere, un folk horror, con poco gore e poca azione, ma molta inquietudine, turpitudine, e il peso opprimente del Peccato ad appesantire l’atmosfera. Sulla carta ci prova e Jeniak ha l’accortezza di tirare il freno a mano rispetto ai primi due capitoli e di lasciarci godere un po’ dell’aria malsana che si respira a Unity, ma è la messa in scena che non convince: non ha nulla (ovviamente, potreste dire) del crudo realismo dell’opera di Eggers e assomiglia di più a una fiera di cosplayer. La Unity del 1666 è piatta e patinata come lo sono Shadyside e Sunnydale nel 1978 e nel 1994, una scelta che si può solo in parte giustificare con il fatto che il film non si svolge realmente nel passato, più che altro nella testa di Deena, che sovrappone i volti di amici e conoscenti a quelli degli abitanti originari della città.
Che nello specifico è un neon, come quello che abbonda in questa ultima corsa che fa incontrare e innamorare due film come L’alba dei morti viventi e Mamma ho perso l’aereo. Fear Street Parte 4: 1994, così viene annunciato questo secondo film-nel-film, è senza fatica la parte migliore di tutto il progetto, quella dove tutti i personaggi trovano il loro posto e il loro ruolo, dove la storia di Sarah Fier conosce la sua conclusione definitiva e dove non c’è finalmente più nulla da spiegare, solo tanto sangue da far scorrere. Succederà ancora, in futuro, presto o tardi: lo suggerisce il film stesso, ovviamente durante i titoli di coda. Per ora ci godiamo una storia che era cominciata malissimo e che ha ritrovato il ritmo giusto quando ormai la stavamo dando per persa.