Fear Street Parte 2: 1978, la recensione
Dopo un primo capitolo deludente, Fear Street Parte 2: 1978 trova la sua dimensione perfetta e il giusto focus, regalando al contempo un soddisfacente esercizio di regia
Dopo la partenza macchinosa e confusionaria del primo capitolo, una deludente galleria di elementi horror senza troppo spessore (narrativo, estetico), con Fear Street Parte 2: 1978 possiamo tirare un sospiro di sollievo: la trilogia diretta da Leigh Janiak si riprende - per il momento - alla grande. Concentrandosi parallelamente sull’origin story di uno dei numerosi killer che affollavano l’episodio iniziale e scavando nel significato della maledizione della strega (che chiarisce la sua direzione metaforica), Fear Street Parte 2: 1978 riesce finalmente a trovare il giusto focus, portandosi a casa nel contempo un soddisfacente esercizio registico.
Quello che nel primo capitolo era un generico accenno a una disparità sociale/storico conflitto tra Shadyside (la cittadina sfigata e in cui avvengono gli omicidi, dove la gente non ha speranza di un futuro) e Sunnyvale (la controparte borghese) in Fear Street Parte 2: 1978 si fa lotta concreta ed è la “guerra dei colori” che si tiene nel camping estivo di Nightwing. Durante questa notte di sfida, mentre ci si nasconde tra gli alberi, lo spirito della strega Sarah Fier si impossessa di un nuovo corpo compiendo un massacro. Toccherà alla “perfettina” Cindy Berman (Emily Rudd) e alla sua sorella ribelle Ziggy (Sadie Sink, attrice guarda caso di Stranger Things) cercare di mettere fine alla maledizione di Shadyside e, affrontandola, capiranno molto di più su se stesse e sul loro passato.
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