Faust - la recensione

[Venezia 2011] Finalmente alla mostra approda un film degno di vincere. Stavolta Sokurov si è superato e ha girato un blockbuster del cinema d'autore...

Critico e giornalista cinematografico


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Che Aleksandr Sokurov avrebbe portato a termine la sua quadrilogia sul potere con Faust lo si sapeva da tempo (i primi tre capitoli sono dedicati a Hitler con Moloch, Lenin con Taurus e Hiroito con Il Sole), quel che non si sapeva era come, a fronte di tre film dedicati a figure di potere politico, si sarebbe inserita questa chiusa letteraria. Il risultato è una delle punte più alte del cinema di Sokurov e dunque del cinema in assoluto, nonchè un'operazione intellettuale di estrema raffinatezza e laboriosità. Un lavoro veramente d'altri tempi.

Il Faust sokuroviano è senza dubbio il più bel film visto alla Mostra del cinema di Venezia 2011, lo si può affermare anche prima che finisca la manifestazione. Con un'arroganza intellettuale e un ardore cinematografico che da tempo non vedevamo battere nelle opere del regista russo, Sokurov mette in scena un adattamento virtuosistico e muscolare, un lavoro intellettuale impressionante, grazie al quale dell'opera originale (che a dire il vero al cinema nessuno ha mai rispettato realmente) rimane contemporaneamente pochissimo e tantissimo, e che piega quella trama a queste esigenze.

Pochissimo perchè tutto il film si concentra nella primissima parte (il patto col diavolo è firmato dopo 1 ora e 40 su 2 ore totali di film) e tantissimo perchè quella parte è sviscerata come mai si era visto fare. Con i movimenti di macchina costanti e ondivaghi di Arca Russa, le forzature all'immagine in obliquo e gli stretch orizzontali e verticali di Madre e Figlio e infine con il gusto per una totale compenetrazione tra personaggio e natura che caratterizza tutta la produzione di Sokurov, Faust racconta la corruzione di un uomo in maniera quasi pornografica.

Mai le dinamiche e i dialoghi teatrali avevano avuto tanto senso al cinema, mai si era visto un simile passaggio dal linguaggio del palcoscenico a quello del set, mai un racconto intriso di dinamiche e di uno svolgimento drammaturgico così antico era stato restituito con tanto senso.

Ma ciò che sorprende è che nonostante un eccesso di parole, un vero tripudio di battute e dialoghi, è comunque l'immagine a determinare il vero senso ultimo. Con un budget all'altezza delle sue ambizioni e della sua immaginazione Sokurov non sbaglia nulla e raramente si aveva avuto l'impressione di essere davanti ad un film tanto perfetto, capace di combinare elementi agli antipodi come Il signore degli Anelli e Stalker (ma in fondo Stalker è presente in tutti i film di Sokurov).

L'andamento dinamico e incessante di questo treno che è Faust sembra non conoscere sosta, un modo di procedere che crea un ambiente più ampio di quello inquadrato in ogni istante, nel quale i personaggi si muovono liberamente anche andando dietro la macchina da presa per poi rientrare in campo dalla parte opposta. Un mondo reale in cui il demonio agisce con il massimo della naturalezza, senza particolari artifici, un mondo visto attraverso mille filtri e viraggi di colori perchè ogni sasso, ogni albero e ogni fiume stringe un legame preciso con il passaggio della storia in cui è inserito.

C'è un universo di senso in ogni momento di Faust, un quantitativo di invenzioni visive pensate per catalizzare un senso ultimo di corruzione e passione che fanno pensare al profluvio di creatività di La città incantata e che sono in grado di generare il medesimo piacere gutturale e intestinale della visione. Non è un film per tutti Faust, richiede un minimo di conoscenza della storia prima di entrare in sala (basta la trama di Wikipedia) e di un amore per il senso veicolato con le immagini. Astenersi perditempo.

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