Fated: The Silent Oath, la difesa del clan con addosso il PlayStation VR - Recensione

Ambientazioni affascinanti, una trama riuscita solo a metà: la recensione di Fated: The Silent Oath

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Quando si sceglie di sacrificare qualsiasi ambizione ludica sull’altare della narrazione, bisogna assicurarsi di equipaggiare la propria opera di un plot dotato di una certa solidità, di una sceneggiatura capace di veicolare la giusta dose di pathos, di personaggi affascinanti e psicologicamente sfaccettati, di un’ambientazione coerente, carica di mistero o quantomeno ricca di dettagli che rimandino ad una miriade di altre piccole e grandi storie utili a contestualizzare l’avventura di turno.

Con l’affermarsi degli interactive drama, lo storytelling in ambito videoludico è stato chiamato ad una potente quanto repentina evoluzione, nel disperato tentativo di superare quella che alcuni chiamano dissonanza ludonarrativa, ve ne abbiamo parlato tempo addietro in un articolo dedicato, e nell’ovvia necessità di creare intrecci appassionanti, capaci, quasi da soli, di motivare il videogiocatore pur in assenza di un vero e proprio gameplay. Tuttavia, per ogni Until Dawn, che riesce egregiamente nel compito, c’è un Everybody's Gone to the Rapture che fallisce miseramente. Fated: The Silent Oath, purtroppo, si avvicina pericolosamente a quest’ultima compagine, non riuscendo ad appassionare come ci si aspetterebbe, finendo per immergerci in un mondo digitale visivamente bellissimo, ma con ben poco da raccontare.

[caption id="attachment_171912" align="aligncenter" width="600"]Fated The Silent Oath screenshot La moglie del protagonista sarà uno dei personaggi principali del gioco, la prima, ovviamente, che dovrete proteggere dal pericolo che minaccia l’intero clan.[/caption]

Frima Studios, nel progettare la propria creatura, ha deciso di sfruttare la realtà virtuale per raccontare una storia, il dramma, per essere precisi, di un padre di famiglia alle prese con l’annientamento fondamentalmente inevitabile del suo clan. Ambientato nelle fredde terre del nord, il protagonista del gioco ha perso l’uso della voce dopo essere quasi morto. L’espediente narrativo, oltre a tornare utile per facilitare l’immedesimazione del videogiocatore, veicola e contestualizza l’interazione con gli altri personaggi che incontrerete nel corso dell’epopea. Pur privi di parola, spesso e volentieri dovrete rispondere alle domande degli interlocutori con un cenno della testa, nonostante si abbia costantemente la sensazione che il vostro parere non influenzi in alcun modo il corso degli eventi.

Nell’esodo che intraprenderete in cerca di salvezza dall’oscura minaccia che sta progressivamente decimando il clan del nostro, sarete chiamati a svolgere anche altre attività. Vi toccherà cacciare cervi, esplorare grotte oscure, guidare la carovana durante gli spostamenti. Si tratta di operazioni caratterizzate da un ritmo molto compassato, che non presuppongono particolari abilità con il pad e che, in generale, offrono una scarsa interazione.

"Solo la conclusione, tragica e toccante, riesce a ridestare gli animi, a proporre una morale, ad incentivare la catarsi dello spettatore."

Al di là di qualche minuscolo enigma, insomma, per lo più si tratterà di vagare per le ambientazioni proposte, seguendo pedissequamente l’unico sentiero disponibile. Il fulcro della produzione, come già anticipato, risiede nella trama che si sviluppa soprattutto attraverso i dialoghi tra i personaggi, raramente in scene più movimentante, sfortunatamente limitate, sotto il profilo registico, dalla prima persona, unico punto di vista attraverso cui è ripresa l’intera vicenda.

Purtroppo, dopo un inizio piuttosto incoraggiante, dove si resta affascinati dalle fumose premesse e dalla bellezza del mondo digitale che vi circonda, il plot comincia a zoppicare, perdendo mordente nella sua reticenza a mostrarci la minaccia che incombe sul clan, attutendo quella che, solo in linea teorica, è l’asfissiante stato d’ansia in cui riversano i pochi sopravvissuti.

Il comparto tecnico e il livello del doppiaggio, c’è da ammetterlo, non aiutano in questo senso. Sebbene l’Unreal Engine svolga un ottimo lavoro nel modellare panorami e scorci ammalianti, se la cava molto peggio nell’espressioni facciali dei vari personaggi, già poco espressivi a causa di attori non così eccelsi nel dare la giusta intonazione alle loro battute.

[caption id="attachment_171913" align="aligncenter" width="600"]Fated The Silent Oath screenshot Il gioco, ben prima di giungere su PlayStation 4 con pieno supporto a PlayStation VR, ha esordito un anno fa su PC con pieno supporto a Oculus Rift e HTC Vive.[/caption]

Solo la conclusione, tragica e toccante, riesce a ridestare gli animi, a proporre una morale, ad incentivare la catarsi dello spettatore, ma anche in questo senso non mancano le critiche. Nonostante il prezzo budget, poco meno di tre ore sono un quantitativo di tempo fin troppo modesto, soprattutto rapportandole alle ambizioni della produzione che, almeno sulle prime, sembra abbia tutte le intenzioni di accompagnarci in un’avventura intensa, articolata, di ampio respiro.

Fated: The Silent Oath non è un brutto videogioco. Esteticamente è valido, la trama scaturisce qualche emozione. Semplicemente offre troppo poco, sia in longevità, sia in termini qualitativi. Non ci sono personaggi memorabili, né monologhi degni di questo nome. Anche il lore, che sottende l’avventura, viene fagocitato da troppi passaggi a vuoto e da scene eccessivamente lente. La realtà virtuale fa il suo, grazie a panorami maestosi, ma non basta certamente l’effetto meraviglia a cambiare il parere e il giudizio su un prodotto solo discreto e nulla di più.

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