Fast X, la recensione

La prima parte di una storia divisa in tre è un classico. Fast X non inventa niente se no un villain con personalità e punta sul passato

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Fast X, il decimo film della saga Fast & Furious in sala dal 18 maggio

La saga di Fast & Furious ha preso la piega di Harry Potter, è sempre più attenta a seguire la crescita e l’invecchiamento del proprio pubblico, ventenne nel 2001 e oggi in età da figli. Dominic Toretto non è più quello di prima, ha un figlio, parla come una persona che ha una vita dietro e non una davanti e anche la sua regola di vivere un quarto di miglio alla volta è scomparsa da tempo. Come i buoni padri, fa prediche e invita all’impegno e alla dedizione, così da continuare a rappresentare le aspirazioni e la vita dei suoi spettatori primari.

Per tutti gli altri stavolta c’è Jason Momoa

La storia di Fast & Furious, almeno dal quinto capitolo in poi, può anche essere letta come la storia di Vin Diesel e della sua scalata al dominio del modello di maschio alfa cinematografico. Una storia fatta del coinvolgimento di tutti gli attori più importanti (e spesso proprio più grossi fisicamente) del cinema d’azione dei suoi anni, sempre in ruoli da villain e sempre inevitabilmente battuti quanto a virilità, destrezza e acume da Dominic Toretto, salvo essere poi inglobati dall’episodio successivo nella sua famiglia, sotto di lui. In pratica la storia di come Diesel abbia chiamato tutti i possibili rivali ad inginocchiarsi davanti al personaggio che ha creato e alla fama che lo sostiene. Anche Charlize Theron, dopo essere diventata un’attrice importante di cinema d’azione, ha passato questo rito di iniziazione. Fast X è il film in cui Jason Momoa si piega, anche se per la prima volta c’è l’impressione che sia stato creato un personaggio dotato di una personalità.

Non è una personalità sfumata o complicata ovviamente (siamo pur sempre in Fast & Furious!) ma ha delle caratteristiche evidenti e originali che lo distinguono dal continuo minacciare ed essere truci. Dotato dello stile barocco dei personaggi del cinema indiano, sessualmente fluido e poi psicologicamente instabile come il Joker di Batman (ne ha anche la parlata inarrestabile e il gusto per l’unione tra macabro e divertente), è il tipo di villain creato dagli eroi, nato cioè dalle ceneri di una tragedia (familiare) che ha avuto luogo lungo la saga. Per questo in Fast X vediamo anche pezzi di film passati, uniti a scene nuove con attori ringiovaniti digitalmente (non benissimo) ambientate durante quegli eventi. Se il concetto di familia, come nucleo protettore dei valori etici e morali positivi, è il protagonista della saga di Fast & Furious, una sorta di gruppo allargato che comprende chiunque riconosca Dominc Toretto come leader indiscusso ed è invitato alla sua tavola (letteralmente), stavolta il villain è l’opposto: un uomo la cui familia è stata distrutta, che vive con un codice diverso (sessualmente non ortodosso!) e che proprio nella fine di una familia ha la sua origin story. Non è proprio il massimo per i canoni occidentali ma è normalissimo per quelli orientali.

Questi infatti non sono dettagli per una gran parte del pubblico cinematografico dei mercati dall’altra parte del mondo, e contribuisce a rendere Fast X, come i suoi predecessori, l’esempio più perfetto di world movie, capace di trovare il minimo comun denominatore che fa appello a ciò in cui si possono identificare spettatori di culture diverse. Louis Leterrier (il regista di questo film) però non è Justin Lin (il migliore che ci abbia lavorato) e non riesce a gestire il compito difficile di tenere insieme i ritmi e le assurdità della saga (oltre alla sua durata obbligatoria, qui estesa in una trilogia di film che parte ora ma che non cambia granchè nello storytelling) per creare un film compatto, ritmato, interessante e non monocorde. La cronica mancanza di reale rischio in scene d’azione da cartone animato con computer grafica insufficiente (visti budget e aspirazioni) e le trame così implausibili da fornire motivazioni scarsamente coinvolgenti, dovrebbero essere compensate da una capacità reale di stupire che tuttavia non c’è. Solo alcune esagerazioni (come quella finale sulla diga) o la grande scena a Roma suscitano un po’ di meraviglia. Difficile dirsi delusi da un film così simile ai precedenti e che mantiene così tanto quel che promette, ma obiettivamente è anche difficile uscirne davvero soddisfatti.

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