Fast & Furious 6: la recensione
Botte da orbi e parecchie risate per il sesto capitolo di una saga rimessa a nuovo da Justin Lin, che mantiene una per una tutte le sue disimpegnate e chiassose promesse.
Arriva un momento, nella vita di ciascuno, in cui si deve fare i conti con i propri cliché. Per carità, siamo nel ventunesimo secolo, il confine tra sessi è sempre più labile e si lotta strenuamente per sfuggire a qualsivoglia etichetta, eppure inutile far finta di niente: a forza di scavare, sotto sotto, tutti abbiamo almeno una simpatia o un’antipatia stereotipata. Magari sei maschio e appassionato di scarpe e shopping, magari sei una femmina che guida i camion e sa fare dei rutti tonali, ma il tuo piccolo cliché ce lo devi avere.
Non serve aver visto i primi cinque capitoli per rendersene conto perché, sin dai primi fotogrammi, Fast and Furious 6 piazza in bella mostra due esemplari come Vin Diesel e Dwayne Johnson, che compongono un poetico dittico del testosterone, nonché un’efficace coppia di nemici-amici. Diesel, per chi si fosse perso i primi cinque film, è Dom Toretto, un criminale-pilota-meccanico che si trova in Spagna, impaccato di soldi grazie al colpo che lui e la sua fornita, multietnica banda (per non far torto a nessuna fetta di mondo, come nelle migliori pubblicità di Benetton) hanno messo a segno in Fast and Furious 5. Al suo fianco l’amico nonché cognato Brian, ex poliziotto divenuto criminale, anch’egli costretto lontano dalla patria americana. Ma ecco che si presenta l’occasione, per Dom e i suoi ricchissimi ma nostalgici compari di scorribande, di rimettere piede nella terra d’origine, allorché l’ex avversario Luke Hobbs, agente federale tutto d’un (marmoreo) pezzo interpretato da Dwayne Johnson, si presenta alle Canarie per chiedere aiuto. C’è un cattivo cattiverrimo, tale Owen Shaw, ex militare britannico che ha il volto di Luke Evans (che aspettiamo al varco nella prova decisiva a dicembre, quando lo vedremo nei panni di Bard l’arciere in Lo Hobbit: la desolazione di Smaug). Questo perfido figuro, armato di veicoli che fanno impallidire le forze armate, sta pianificando un oscuramento tecnologico che rischia di gettare il mondo nel panico. Ovviamente, ai nostri anti-eroi potrebbe interessare fino a un certo punto di allearsi con Hobbs, ma il federale ha un bell’asso dalla manica: una foto che testimonia come, nella banda di Shaw, ci sia anche Letty, compagna di Dom data per morta in Fast and Furious – Solo parti originali. Un’esca che, unita alla promessa di una bella amnistia di gruppo, non può che far gola a Dom e ai suoi energici amici.
E allora ecco che ogni rocambolesco inseguimento finisce non solo per stupire, ma soprattutto per stampare un sorriso compiaciuto in faccia agli spettatori. Ben lontano dall’essere (e dal voler essere) un capolavoro, Fast and Furious 6 è un film complessivamente ben riuscito e migliore di tante massacranti pellicole che, puntando ad essere pietre miliari della storia del cinema, hanno ridicolmente toppato il bersaglio. Ma nel cinema, spesso e volentieri, l'importante non è mirare in alto, ma fare centro. Il bersaglio designato e centrato da Fast and Furious 6 è l’intrattenimento. Puro, semplice, senza pretenziose filosofie o messaggi subliminali tanto cari a un certo cinema supereroistico di ultima generazione: si corre, si lotta, si muore. Si fa tutto questo e molto altro, assolvendo però in ogni singolo fotogramma un’unica missione: divertire. Parafrasando una battuta del villain Shaw, questo film riesce a seguire un suo codice dall’inizio alla fine. E non è poco, davvero.