Fargo (stagione 5), la recensione dei primi due episodi

I primi due episodi della quinta stagione di Fargo delineano un percorso che punta alla commedia piuttosto che al crime o al dramma

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Spoiler Alert

La nostra recensione dei primi due episodi della quinta stagione di Fargo, disponibile su Sky dal 22 novembre

Noah Hawley l’aveva detto: Fargo sarebbe tornata solo e unicamente con una storia migliore di tutte quelle raccontate precedentemente dalla serie. Sono passati tre anni dall’ultima falsa storia vera ambientata nell’universo fittizio ispirato all’omonimo film dei fratelli Coen; tre anni di Covid, di scioperi, di cancel culture e quant’altro. Il mondo è cambiato radicalmente, eppure a una prima occhiata Fargo sembra esser tornata identica a sé stessa, almeno a giudicare dai primi due episodi del suo quinto arco. Il che non è, si badi, per forza un male.

A fronte di una rivoluzione innegabile nelle tematiche e nella rappresentazione, la serie di FX è quasi rassicurante nella propria coerenza interna. Il ritorno in Minnesota, stavolta nel vicino e lontanissimo 2019, porta con sé tutti gli elementi cardine del brand Fargo: sicari laconici e dal look iconico (qui troneggia un Sam Spruell in kilt), monologhi teatralmente brillanti (il migliore, per ora, affidato allo sprezzante, tradizionalista sceriffo Roy Tillman di Jon Hamm). C’è un profumo di casa, in queste due puntate, di pancake preparati al mattino e intrisi di sangue all’ora di pranzo.

Le verità nascoste

L’inconfondibile miscela di umorismo nero e accenti da crime story sono ravvisabili sin dalle prime sequenze, in cui la - apparentemente - tranquilla casalinga Dorothy “Dot” Lyon (Juno Temple) stordisce un poliziotto con un taser durante una riunione scolastica. Un avvenimento che sconvolge la sua routine, ma che impallidisce di fronte al rapimento di cui Dorothy è vittima di lì a qualche ora. La donna sfodera, nella fuga dai suoi bislacchi aguzzini, delle capacità di attacco e difesa che stupiscono Witt Farr (Lamorne Morris), poliziotto accorso in suo aiuto.

Già nelle precedenti stagioni, Fargo aveva riflettuto sul divario tra essere e apparire; in questo caso, è Dorothy stessa a svelare l’inganno. “Non è la mia prima fuga”, dice all’agente ferito cui, di lì a poco, salverà la vita. La nostra protagonista ha un passato ingombrante, che le dà la caccia nella figura dello sceriffo Tillman (Jon Hamm), contraltare nero - col figlio Gator (Joe Keery) - alla rappresentazione positiva della polizia data dal già citato Farr e dalla pacata agente Indira Olmstead (Richa Moorjani).

Leggerezza di tono

Rispetto alle stagioni che l’hanno preceduta, in realtà, qualche differenza c’è. Questa tranche di episodi sembra voler riportare Fargo su un terreno reso fertile dalla commedia piuttosto che dal dramma. Manca, in queste prime due puntate, il chiaro profilarsi di una tragedia all’orizzonte. Tutto viaggia su altri binari, puntando a divertire più che a commuovere o provocare. L’azione c’è, il sangue non manca, ma è spesso veicolato da stratagemmi che afferiscono alla tradizione comica; si pensi all’incursione dei rapitori in casa di Dot e alle contromisure di sicurezza prese dalla donna, palese omaggio a Mamma, ho perso l’aereo.

Per carità, neanche qui Fargo rinuncia alla sottile vena critica che è propria del suo DNA. C’è un sottotesto femminista nella lotta di Dot (occasione, per Temple, di affrancarsi definitivamente dall’immagine di bambola) contro un sistema che la vorrebbe docile; c’è, inoltre, un’odiosa rappresentazione del classismo che trova nella suocera di Dot (Jennifer Jason Leigh) la sua portavoce. Sono però strali leggeri a colpire lo spettatore, riflessioni che non raggiungono mai la potenza di una reale accusa, seppur vestita d’umorismo. Una dolcezza di tinte che non preclude l’emozione, e che acuisce la curiosità su quale bersaglio narrativo stia puntando Fargo in questa stagione. Le premesse sono gustose, le aspettative alte: non resta che attendere.

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