Fargo 3x10 "Somebody to Love" (season finale): la recensione

Season finale di Fargo: ancora una grande lezione di scrittura per la serie di Noah Hawley, che qui ci racconta il destino finale dei suoi personaggi

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Spoiler Alert
Questa potrebbe essere l'ultima stagione di Fargo, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate dal creatore Noah Hawley. E, tutto considerato, forse sarebbe giusto così. Intendiamoci, Fargo è un progetto solido, intelligente, autoriale nei riferimenti e nella visione d'insieme, ma la sua stessa impostazione lo vincola ad una ripetizione di schemi, situazioni, soprattutto tematiche che ormai sono state sviscerate al meglio. In questo senso la terza stagione ha rappresentato l'ultimo passo in avanti. Non più la semplice idea metanarrativa del gioco della finzione, ma la sua applicazione critica alla postverità, al linguaggio che dà una forma al mondo, non in senso positivo (una visione borgesiana sulla quale non avremmo nulla da obiettare), ma negativo, per il tornaconto personale di alcuni.

È la realtà oggettiva o la sua interpretazione a definire il mondo? Nell'ultima scena di Somebody to Love la scrittura lascia a noi il compito di riempire quello spazio vuoto. La chiave di lettura è tutta intorno a noi, e alle nostre spalle, in trenta episodi che hanno poggiato su opposti e paradossi per raccontare una visione di mondo. Varga e Gloria si contrappongono ai due lati di un tavolo, e non potrebbero essere più emblematici, il lupo e il cacciatore, in ciò che rappresentano. Perfino l'ultimo dialogo ribadisce concetti ormai familiari, la presunzione di Varga e i suoi aneddoti improbabili (ma quanta convinzione nelle sue parole) e lo scetticismo di Gloria, forte della sua razionalità. Entrambi narrano una visione del presente che serve ad appropriarsi del futuro. Caricano di potente convinzione il racconto su ciò che accadrà, e tutto sfuma così, sulle lancette di un orologio che scorrono e un sorriso che forse ci dà una risposta.

Una volta stabilito ciò, non c'è bisogno di conoscere il seguito. C'è qualcosa del finale dei Soprano in tutto questo (ma anche del cinema dei Coen, da A Serious Man a Non è un paese per vecchi), e sicuramente si tratta di una scelta che indispettirà qualcuno. Ma Fargo è sempre stato postmoderno, fin dal principio, e non sarà certo un finale tronco a cambiare il volto della serie. Fargo ha sempre raccontato la sua storia prescindendo da verosimiglianza e legami: ricordiamo la prima stagione che da remake si trasforma in un sequel sotto i nostri occhi, ricordiamo gli alieni della seconda stagione, quasi inutili, ma così importanti per elevare il livello della serie. Storie vere o false, di tentativi di riscatto e brusche cadute nel caos, di mediocri personaggi in cerca di affermazione e di criminali allo sbando e sopra le righe.

Storia che si è ripetuta anche quest'anno in fondo, e che in Somebody to Love ha chiuso là dove doveva chiudere. C'è un generale senso di predeterminazione e fatalismo nella morte che colpisce tutti i personaggi principali, coloro che, a differenza di Gloria e Varga, non rappresentano due schieramenti assoluti, ma cadono nel mezzo, e in quello spazio annegano. Dopo Maurice, dopo Ray, dopo Meemo (ferito, Wrench gli taglia la mano per accedere alla valigetta dei soldi), dopo Yuri, dopo Sy (in realtà lui si sta riprendendo), anche Emmit e Nikki perdono la vita. Vittima di loro stessi, di coincidenze sfortunate come un agente di polizia che arriva al momento meno opportuno o della mano del destino che cinque anni dopo, con le fattezze di Wrench, si abbatte su Ray.

Vera o falsa che sia, la sua storia Fargo ce l'ha raccontata, e l'ha fatto nel modo migliore. Si tratta di un progetto tra i più autoriali trasmessi da FX, capace di oltrepassare i limiti del genere, o dei generi di appartenenza, per non parlare dello scomodo paragone con il film del 1996. Passo dopo passo, cogliendo le sfumature del presente, Noah Hawley ha saputo integrare un'idea di critica su un tipo di comunicazione contemporanea – fatta di verità decise a maggioranza e isterie di massa – e lo ha fatto da una prospettiva geniale. Contrapponendo all'ignoranza un linguaggio elegante, una messa in scena di indiscutibile valore, sfidando continuamente lo spettatore, anche a scapito del godimento immediato nella storia. Lasciandoci, in definitiva, la libertà di scegliere a cosa credere: potete dubitare, oppure potete leggere di seguito le prime parole dei paragrafi di questa recensione.

Continua a leggere su BadTaste