Fargo 2x05, "The Gift of the Magi" - La recensione

Nemmeno Ronald Reagan riesce a rassicurare i protagonisti di Fargo, in un episodio rocambolesco che apre le porte a un caotico scenario di guerra

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Spoiler Alert
Tra la foresta di pregi di una serie come Fargo, in cui la raffinatezza formale è scrigno di una ricchezza tematica e narrativa non comune sul piccolo schermo, vi è la straordinaria capacità di far scaturire le più grandi tragedie da equivoci che hanno del comico. L'ironia è alla base del dramma, consonanze e dissonanze si fondono come sanno fare solo le più grandi opere musicali, e l'assurdo genera la bellezza più alta. Questa peculiarità riluce in The Gift of the Magi, che vede lo scoppio della guerra in tutte le sue possibili declinazioni, con conseguenze che si ripercuotono più o meno sensibilmente su ciascuno dei protagonisti.

Osservare Floyd (Jean Smart) piangere sulla fibbia di Rye, mentre Hanzee (Zahn McClarnon) parla del misterioso "macellaio di Luverne" assoldato dalla mafia di Kansas City è un magnifico esempio di quanto detto prima: avvertiamo il dolore della perdita, lo leggiamo tra le rughe del volto della donna, ma Fargo non indulge in pietismi e solca la scena di un umorismo inequivocabile, mentre sentiamo descrivere il presunto sicario e immaginiamo il faccione bonario e un po' stolido di Ed Blomquist (Jesse Plemons). L'equivoco fa scaturire un massacro che spedisce all'altro mondo ben dodici persone, tra cui Joe Bulo (Brad Garrett) e uno dei fratelli Kitchen, dato che Hanzee è riuscito - su indicazione di Dodd - a convincere Floyd che la morte di Rye sia una commissione specifica della malavita che minaccia i Gerhardt.

La morte di Joe è una perdita per lo show, ma un guadagno indubbio nella prospettiva di caos crescente che è ormai ben delineata in Fargo. Egli incarna - o meglio, incarnava - un tipo di criminale freddo e calcolatore, ma la cui intelligenza logica avrebbe garantito un futuro di stabilità nella zona su cui avrebbe messo le mani. La tutela degli interessi di una grande organizzazione come la mafia di Kansas City avrebbe quindi stabilizzato una situazione che invece, alla luce dell'eccidio nel bosco, sembra ora proiettata verso il delirio della guerra. Una guerra che, da subito, non si mette bene per i Gerhardt, dato che non riescono neppure a far fuori il non così temibile Ed, che finisce per far fuori lo scagnozzo Virgil (Greg Bryk) e mettere fuori combattimento una nuova, goffa leva: Charlie Gerhardt (Allan Dobrescu). Il ragazzo, benché intenzionato a contribuire all'azienda di famiglia nel modo più violento possibile, non può non suscitare un moto di simpatia quando le sue cattive intenzioni crollano miseramente sotto il sorriso ammiccante di Noreen (Emily Haine). Non c'è motivo di tenerla in vita, Virgil ha detto "nessun testimone"; invece di uscire coi vestiti coperti di sangue, Charlie torna in macchina con un pacchetto di carne sotto il braccio. Ancora una volta, la tensione viene stemperata da un sapiente velo di ironia.

Ma non è solo la vita di Virgil a finire tragicamente nello scontro quasi comico che avviene nella macelleria, no: anche il sogno americano di Ed, inseguito con un'ossessività quasi psicotica, va in cenere nell'incendio del negozio, e l'uomo si trova costretto a cambiare drasticamente i propri piani, a dispetto di una ritrovata - per il momento - voglia di Peggy (Kirsten Dunst) di restare al suo fianco. A tal proposito, intenerisce l'estremo tentativo, dopo il colpo di testa della fuga solitaria, di rimettere a posto le cose da parte di questa giovane moglie che in ogni sua espressione alimenta il dubbio sul perché si sia legata a un uomo che sembra rappresentare la distruzione di ogni sua speranza di emancipazione. Ma Peggy è un'anima insicura, placcata dal senso di colpa e terrorizzata quanto il marito, benché dotata di un'intelligenza meno pratica ma più elastica di quella di Ed, chiuso nelle proprie convinzioni fino a quando la fonte delle proprie illusioni - la macelleria - non viene letteralmente mandata in fumo. Ma è troppo tardi per le riconciliazioni tra i coniugi, per stabilire chi avesse ragione e chi torto: le luci della polizia sono ormai fuori dalla porta dei Blomquist, e questa potrebbe essere la loro ultima occasione per salvarsi la pelle.

La chiave di lettura di The Gift of the Magi sta in una breve ma emblematica scena che vede protagonisti il candidato presidenziale Ronald Reagan (Bruce Campbell) e Lou Solverson (Patrick Wilson) in una toilette maschile. Dopo un momento di imbarazzo, Lou parla al futuro presidente del cancro di sua moglie, chiedendo se sia possibile che il male del mondo sia in qualche modo entrato dentro di lei. Reagan fa del proprio meglio per consolare l'uomo, asserendo che "non c'è sfida che un americano non possa vincere". Quando Lou chiede spiegazioni, il politico si limita a fare un sorriso e ad andarsene, dopo un'alzata di spalle che lascia più punti interrogativi di prima. È un discorso quasi assurdo, quello tra i due uomini, ma che dà l'idea di quanto le rassicurazioni senza contenuto non siano sufficienti di fronte alla catastrofe. Credere che tutto andrà bene non è più sufficiente, né per i Blomquist, né per i Gerhardt, né tantomeno per i Solverson. La ragionevolezza è ormai acqua passata: da qui in avanti, stiamo pur certi che ci sarà l'inferno.

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