Fargo 2x02, "Before the Law": la recensione

Il secondo episodio della seconda stagione di Fargo sottolinea il dominio assoluto del caos rispetto al tentativo di razionalizzazione dei protagonisti

Condividi
"Questo giudice era solo nel posto sbagliato al momento sbagliato, o tutto questo casino è stato fatto per lei?" Questa la riflessione di Hank Larsson in merito agli efferati omicidi avvenuti nella prima puntata di Fargo. Il pubblico conosce la risposta: Rye Gerhardt ha tentato di minacciare il giudice, e il fallimento delle sue intimidazioni ha trovato sfogo in una serie di spari letali. Il pubblico sa anche che la risoluzione del caso è ancora lungi dall'orizzonte di Hank, che sulle prime ancora ipotizza che l'eccidio possa essere ricondotto al dramma di una sola persona, laddove invece si tratta di una pozza sempre più ampia di sangue spia di una lotta di potere tra la famiglia criminale Gerhardt e la grande minaccia malavitosa di Kansas City.

Dell'originaria pellicola dei fratelli Coen, Fargo conserva ed esalta la complessa, stratificata struttura narrativa. Come i fratelli Coen, Noah Hawley si crogiola nella creazione di meccanismi tentacolari dove ogni personaggio ha l'erronea percezione di sé quale centro razionale in mezzo a un vortice di caos. La sceneggiatura di "Before the Law" è tutta irrimediabilmente solcata dalla paura di disfacimento della società, un disfacimento che prescinde però dal protagonista di turno.

Dell'originaria pellicola dei fratelli Coen, Fargo conserva ed esalta la complessa, stratificata struttura narrativa

Le minacce di Mike Milligan verso Hank sono sottili come una lama e portano l'inquietante maschera dell'adulazione. "Non è un piccolo miracolo?", dice Milligan. "Nonostante lo stato del mondo di oggi, il livello di conflitto e di incomprensione, due uomini possono stare su una strada solitaria in inverno e parlare, con calma e razionalità, mentre tutto intorno a loro, le persone impazziscono?" È profondamente ironico il fatto che Milligan sia essenzialmente parte integrante della degenerazione che descrive; ma egli ne è consapevole e sembra goderne, in effetti. In un'altra scena, Milligan recita a memoria una lettera da lui precedentemente inviata a General Electric per lamentarsi di una caffettiera automatica. La scarsa qualità della macchina "mi costringe a porre la domanda: è questo il motivo per cui il la nostra un tempo gloriosa nazione sta finendo nel cesso?" dice Milligan. E mentre procede nel suo ragionamento, il rullo della macchina da scrivere stringe con metaforica violenza la sua presa inconsapevole sulla cravatta dello sfortunato venditore di turno.

Un quadro ben diverso è quello dipinto da Floyd Gerhardt, alle prese con un'evoluzione del crimine con cui non riesce a stare al passo, con Bulo che esorta i Gerhardts a mettersi in linea con il nuovo ordine del mondo. In un caos globale, l'unico ordine possibile è quello legato all'equilibrio dei singoli individui, sballottati qua e là da un disordine beffardo.

Floyd è anch'ella fin troppo consapevole di questo caos. Risolve astutamente il suo diverbio con Dodd, che insiste sul controllo delle operazioni della famiglia. "Sono il più vecchio. Sono il capo. Fine della storia" dichiara il rampollo, perché questo è il semplice destino ha previsto per tutta la vita. Floyd ha però qualcosa più elaborato da dire, e descrive al figlio una parabola trans-generazionale che segue un impero costruito a partire "da una scatola di lustrascarpe." Dodd prova a tenerle testa, ma soccombe sotto i colpi dialettici della madre: in confronto a lei, è solo un ragazzino che gioca a fare l'uomo. La disfatta è lenta ma inesorabile, e Floyd si configura come l'unica abbastanza saggia da poter tenere testa alla minaccia di Kansas City.

In questo turbine di follia costellato di individui che pretendono di essere le ultime roccaforti di senso comune, Ed Blomquist è forse quello nella situazione più complicata. È l'uomo più ordinario che possa esistere, e la sua devozione alla normalità emerge potente attraverso il risoluto - e probabilmente inutile - tentativo di riportare la propria vita su un prevedibile percorso rettilineo. Non possiamo fare a meno di parteggiare per Ed, che crede strenuamente in quei valori domestici che, per sua moglie, sono una mera facciata.

Ed trascorre un'intera giornata cercando di pulire il sangue di Rye Gerhardt, ma la violenza dilaga come una forza sovrumana, incapace di essere contenuta. Il taglio inferto da Ed sulla mano di Rye è il vano tentativo di tagliare via questo gigantesco imprevisto piombatogli tra capo e collo. Poi Lou Solverson bussa alla porta di casa del macellaio, e l'illusione svanisce. Un dito rotola sotto la porta: il caos regna. Certo, Lou si allontana apparentemente senza sospetto, ma Ed ottiene una consapevolezza ineffabile, tuttavia, che questo non è il capitolo finale della sua personale saga criminale.

Per Peggy, le cose non vanno meglio, mentre vede come la sua vita venga minacciata da una spirale di orrore. Quando il suo capo al salone le ricorda del seminario motivazionale a cui avevano programmato di partecipare, Peggy dissimula goffamente. Spera di aver scoperto in Peggy uno spirito affine che assapora come lei il brivido della trasgressione: "Forse ti piace, eh? Infrangere le regole?" Peggy onestamente non sa cosa rispondere. Nemmeno lei è sicura di ciò che si cela dietro il suo comportamento. Ma la routine, non le regole, quella è la bestia nera di Peggy. Il brivido dell'imprevedibilità ha travolto la sua vita, spingendola lontana da quei sonnolenti binari su cui si trascinava stancamente.

L'ultima scena della puntata si allontana dolcemente dalla macelleria, mentre riflessi di luce verde brillano fuori dal palazzo. E torna, inaspettata, la tematica sci-fi. Riusciamo a intuire la frenetica, ridicola mediocrità dei destini umani osservati da un punto di vista "altro". Resta un grosso interrogativo sulla direzione che Fargo voglia prendere seguendo questa tematica aliena: l'effetto momentaneo, però, è quello di integrare i singoli punti di vista dei personaggi nell'occhio del ciclone mettendoli tutti sotto l'occhio di un'entità superiore.

La narrazione inquietante suggerisce che questa immagine finale sia la vista non solo di un semplice osservatore, ma piuttosto un partecipante attivo nel caos in gemmazione nell'episodio. Nessuno dei personaggi ha una visione chiara degli omicidi al Waffle Hut, perché il loro punto di vista è comunque ancorato a questo caotico suolo terrestre. La presenza aliena non ha tale impaccio, e si identifica in toto con il punto di vista degli spettatori che, al pari dei misteriosi visitatori, attende di emettere un giudizio sui poveri peccatori che si muovono in quel confermato capolavoro che risponde al nome di Fargo.

Continua a leggere su BadTaste