Fantastic Machine, la recensione

Spacciandosi per un documentario sulla natura ingannevole delle immagini, Fantastic Machine rivela presto di essere altro

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del documentario Fantastic Machine, al cienma dal 9 maggio

Qual è il pubblico che Fantastic Machine ha in testa? A chi pensa di rivolgersi? Sicuramente è un pubblico che ha scarsissima conoscenza di internet, perché questo documentario sulla natura ingannevole delle immagini fa abbondante utilizzo di alcuni dei più noti video virali come se nessuno li avesse mai visti. Sicuramente è un pubblico spaventato dal nuovo, perché nel suo tracciare una storia dalle origini del cinema fino al video online non manca di sottolineare tutto il peggio che si può trovare online (cosa non difficile da fare). E soprattutto è il tipo di pubblico lieto della propria ignoranza in materia, a cui non interessa capire un fenomeno ma semmai vedere confermati i propri pregiudizi. Fantastic Machine piega, omette, mente e legge faziosamente tutto, usando le armi del montaggio alle volte e in altri casi quelle della retorica per dire una cosa sola: “l’audiovisivo come esiste online è il male”.

Che le immagini dicano sempre il falso è una questione al tempo stesso molto nota a chi ha a che fare con l’audiovisivo, e poco raccontata al grande pubblico. L’idea di un documentario che lo spieghi non era male, ma le reali intenzioni di Fantastic Machine emergono quasi subito, quando, spiegato il funzionamento del cinema e arrivato al suo uso come strumento di propaganda, fa un rapido montaggio che mette insieme Hitler, Mussolini, Trump, Putin, Xi Jinping e Macron. E nessuno dice: “Trova l’intruso”. Ogni immagine è propaganda, anche quelle diffuse dagli stati democratici, vuole suggerire. I leader del mondo usano l’audiovisivo, tutto, per ingannare e raggirare. 

La fattura è esattamente quella dei documentari complottisti che vengono diffusi (ironia della sorte) su YouTube. Quelli che pretendono di rivelare una grande verità taciuta alle masse, sostenendo di svelare “quello che ci nascondono”. Quei documentari in cui ogni fenomeno ridicolo è elevato a simbolo del tutto, e ogni ricaduta positiva invece viene taciuta. L’intento originario, cioè spiegare come le immagini che vediamo continuamente siano sempre e comunque false, anche quando non sono manipolate (perché inquadrano qualcosa lasciando fuori altro), è ben presto perduto. Quasi subito si giunge al punto che gli preme: internet come strumento di peggioramento dell’umanità. Arrivano dunque i tutorial spacciati per pratica culturale degenerata e gli influencer peggiori (il grande nemico di chi non sa niente della internet culture) spacciati per esponenti della cultura online. Non arrivano invece mai per esempio i divulgatori, una categoria in televisione o al cinema inesistente (e inesistente prima dell’audiovisivo) che invece prosperano su YouTube.

Ma la cattiva fede di Fantastic Machine è sparsa ovunque lungo i suoi 90 minuti, perché il suo metodo prevede di affrontare un argomento partendo da fatti, da persone reali e dalle vere immagini, e poi raccontarne solo la parte problematica. Prima mostra delle persone negli anni ‘50 che di fronte alle prime immagini provenienti da un altro paese dicono che gli sembra una cosa straordinaria, perché aiuterà la comprensione tra popoli, e poi subito dopo ci affiancano immagini di 40 anni dopo, gli anni ‘80, di televendite in TV commerciali o di violenza per suggerire che non è mai avvenuto. Non racconta però che a lato di questo veramente oggi conosciamo molto più di ieri come sono fatte e come vivano le persone nel resto del mondo. E alla fine sì, è vero come dice Fantastic Machine che ogni immagine in realtà è una costruzione o una mistificazione, ed è il documentario stesso a dimostrarlo, mostrando come si possa omettere e mistificare, piegando vere immagini a una lettura aberrante, per riportare una visione completamente distorta di ciò di cui parla.

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