Familiar Touch, la recensione: l’invecchiamento come un film di formazione

Familiar Touch non affronta nulla di nuovo: si parla di invecchiamento e di perdita della memoria. La chiave che trova lo rende una bella sorpresa

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Basta vedere Kathleen Chalfant di schiena mentre interpreta Ruth che cerca ossessivamente degli abiti nell’armadio per capire di cosa parlerà Familiar Touch. Una donna sta svanendo insieme alla sua memoria. È arrivato per il figlio il momento di portarla in una casa di cura. In quel giorno difficile lei fatica a riconoscerlo, ma non ha problemi a preparare degli splendidi piatti. È la memoria muscolare, mentre quella dell’identità e dei ricordi se ne sta andando. 

Fino a qui Familiar Touch fa scattare un allarme di pericolo: arrivare dopo il lavoro che aveva fatto The Father sul tema della vecchiaia è difficilissimo. La potenza del film di Florian Zeller era di svolgersi quasi interamente nella prospettiva del padre affetto da demenza. La scenografia e gli attori cambiavano per assecondare la sua confusione, permettendo allo spettatore di viverla sulla propria pelle. Ci si sentiva fragili come lui. Come fare di più? Che altro dire a questo punto? 

Sarah Friedland fa un film più convenzionale. Sicuramente meno ambizioso. Risolve però il problema con una grande idea: riprende l’ingresso nella casa di riposo come si riprenderebbe quello di una giovane ragazza in una scuola. Bisogna ambientarsi, fare amicizia, capire la nuova routine e farsi valere. Il canovaccio del teen movie è quello che si svolge nella testa di Ruth, una donna gentile che viene trasportata per un attimo nel suo passato. Eccola allora che sgattaiola in cucina dove riproduce la dinamica del suo lavoro da cuoca comandando la "brigata" di infermieri e addetti alla mensa. 

Familiar Touch non parla solo di questo, ma procede quasi sempre con questa ironia. I momenti più drammatici gli riescono male, risultano dettati dalle convenzioni del genere più che da vere esigenze narrative. Inevitabile, ad esempio, il momento di fuga (assai improbabile vista l’assenza di controlli) e di spaesamento che dovrebbero portare lo spettatore alle lacrime. 

Se l’emozione arriva è invece con le sequenze di registro opposto. La migliore: a un certo punto, con inquadratura fissa, vediamo un cerchio di anziani provare un visore VR, probabilmente a scopo terapeutico per far rinascere dei ricordi. Agitano le braccia, seduti sulla sedia, come a voler toccare degli uccelli che gli volano accanto. Ruth e un’altra donna si tolgono il visore e osservando gli altri, senza capire bene cosa stia accadendo, prendono a imitarli. Un momento comico di una dolcezza spiazzante

A volte basta un’interpretazione per dare la ragione d’esistere a un film. In questo caso Familiar Touch è una visione obbligatoria per chiunque sia interessato all’arte recitativa. L’attrice professionista Kathleen Chalfant si mimetizza alla perfezione tra le comparse, veri ospiti di una casa di riposo, come ci viene detto a fine film. Riesce a delineare il personaggio di Ruth andando su un registro minore, con pochi movimenti proprio per entrare in sincronia con il resto degli elementi di scena. Quando la misura è pensata così bene, il tocco familiare che chiude il film fa restare seduti sulla sedia anche quando si sono già accese le luci in sala.

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