Fall, la recensione
Accetando la propria natura di film-dispositivo Fall marginalizza le velleità intimiste al di là della sua portata e vende bene la vertigine
La recensione di Fall, il film in uscita in sala il 27 ottobre
Fall fin dal titolo lo promette con una certa insistenza e si adopera benissimo per arrivare al massimo della vertigine su schermo. Come in Cliffhanger la storia è messa in moto da un incidente durante una scalata, Becky perde il suo fidanzato davanti agli occhi dell’amica Shiloh. Sarà proprio Shiloh che, passati i classici mesi come recita la sovrimpressione, convince Becky che per superare quel trauma e ricominciare a vivere (attenzione che qui c’è il salto carpiato) deve compiere con lei una scalata molto meno sicura, più stupida e mai tentata prima. Insieme salgono sulla cima di una torre radio da 600 metri e regolarmente arrivate sulla minuscola piattaforma che sì trova in cima rimangono bloccate.
Non riusciranno a fare il miracolo e annullare le assurdità della trama o le due svolte di sceneggiatura, una più inutile dell’altra, come non riusciranno ad annullare le velleità di commento alla società della rappresentazione (Shiloh vuole tentare la scalata per accumulare follower sui suoi profili social e per questo mette in evidenza la scollatura, in realtà attirando solo più attenzione al film stesso e mettendo il corpo più al centro di questa operazione e non del canale social di finzione) ma avranno il merito di aver contribuito ad aver azionato uno degli interruttori per ansia maggiori della stagione