The Fabelmans, la recensione

La storia della famiglia di Steven Spielberg è in realtà la storia della sua eccezionalità e di come il cinema abbia acceso in lui l'arte

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di The Fabelmans, il film di Steven Spielberg presentato alla Festa del Cinema di Roma e in uscita in Italia il 22 dicembre

L’amore più sincero e commovente che passa dai film di Spielberg raramente è quello per l’altro sesso. È più quello per i padri, per i figli, per un ideale, per una figura storica o per un’aspirazione. Vedendo i primi 20 minuti di The Fabelmans, ci sì chiede se sia possibile amare così tanto il cinema o almeno cosa ci voglia per amarlo così. Probabilmente ci vuole di averne fatto una ragione di vita ad un livello tale da identificare la propria stessa esistenza con esso. E solo Spielberg poteva riassumere tutto questo in una immagine così potente da fare due volte il giro della testa prima di affondare nel profondo, di quelle destinate ad entrare nella memoria collettiva: lui stesso da bambino che si proietta una scena (da sé girata!) sulle mani tenute insieme a formare un piccolissimo schermo. Niente di più intimo, fisico e umano, il cinema sul corpo a distanza ravvicinata dagli occhi, proiettato al buio dello sgabuzzino per un solo spettatore. È la sublimazione di un’ossessione e la promessa di un domani, tutta nel palmo delle mani di un bambino.

È il prologo di un film che parla di molte cose come pretesto per parlare di cinema, della potenza delle immagini riprese e poi montate di cambiare le persone, rivoluzionare rapporti e svelare la verità. Ce lo diranno in una bellissima scena d’apertura i due genitori di Sam, il protagonista (che poi sarebbe Spielberg stesso così tanto che quando cresce è identico a lui), il padre spiega tecnicamente al figlio cosa sia il cinema, la madre cosa faccia alle persone. Il padre è la tecnica, la madre è l’arte, insieme formano Spielberg, il più grande regista americano dell’era moderna.

In questo film dotato di una nostalgia per il cinema degli anni ‘40 e ‘50 ancora più forte del solito, in cui le inquadrature sembrano composte come faceva Gregg Toland, in cui madre e figlia se devono sbirciare da una tenda l’arrivo di un vecchio zio lo fanno affacciandosi una sopra e una sotto, come in un momento leggero di western di Howard Hawks, poi però c’è un montaggio modernissimo che alle volte procede a strappi, alle volte accarezza dolcemente il passare del tempo, altre ancora è il classico montaggio interno di Spielberg che dice tutto quel che c’è da dire (bellissimo il piccolo movimento che svela la presenza anche di Seth Rogen in un viaggio in auto). Non è solo celebrato il cinema in questo film, ce n’è proprio tantissimo dentro, così tanto da appassionare e infiammare l'animo di chi lo ha a cuore e forse distrarre un po’ dal fatto che questo film molto bello, dolce e importante di certo non è il migliore di Spielberg come l’esaltazione all’uscita può portare a pensare.

Lungo The Fabelmans infatti ci sarà modo di affrontare il trauma della difficile relazione dei suoi genitori e le difficoltà di cambiare spesso stato per il piccolo Sam, insieme al crescere della passione per le immagini ma, di nuovo, sono tutti pretesti un po’ semplici, perché nonostante il titolo prometta la storia di una famiglia alla fine ciò su cui insiste Spielberg è in realtà se stesso. Niente è più commovente dell’idea che esista qualcosa dentro di noi di così immortale da non solo rimanere vivo anche fino all’ultimo momento dell’esistenza ma da stare già lì, dentro ognuno, dall’età più infantile, coperto da strati di ingenuità e inesperienza. Spielberg è già se stesso quando buca la pellicola per simulare degli spari, si autocita, inserisce premonizioni, e su tutto celebra la scintilla di desiderio e passione che alimenta l’intelligenza dei bambini. In una filmografia di bambini maturi e dotati di un proprio mondo quello più intrigante di tutti, salta fuori che è lui stesso. E in anni di registi che fanno film sulla loro infanzia, nessuno ha celebrato la propria eccezionalità quanto Spielberg.

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