Ezio Bosso: le cose che restano, la recensione | Venezia 78

La vita e la carriera di Ezio Bosso vengono ripercorsi nel documentario Le cose che restano, un progetto firmato da Giorgio Verdelli che regala un ritratto emozionante, ma non approfondito, dell'artista

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Ezio Bosso: le cose che restano, la recensione

Il vuoto lasciato nel mondo della musica, e in generale dell'arte, da Ezio Bosso appare davvero grande pensando al suo talento, alla sua voglia di vivere e alla sua capacità di essere in grado di parlare di musica e, successivamente, della sua malattia, coinvolgendo gli ascoltatori e gli interlocutori con una spontaneità e un'intensità rare.
Il regista Giorgio Verdelli delinea ora un ritratto significativo ed emozionante, seppur non esaustivo, della sua carriera e della sua vita con il documentario Ezio Bosso: Le cose che restano, in arrivo nei cinema il 4-5-6 ottobre 2021 dopo la presentazione, fuori concorso, alla Mostra del cinema di Venezia.

Il compito di ripercorrere la sua vita e la sua incredibile carriera è stato affidato ad alcune interviste allo stesso Ezio, ai membri della sua famiglia, ai suoi amici e colleghi. Sullo schermo si svela così il primo approccio alla musica, svelando poi i primi passi compiuti suonando il contrabbasso, le esperienze nel mondo delle colonne sonore grazie alla collaborazione con Gabriele Salvatores, gli incontri che hanno portato a nuovi legami personali e professionali, e le conseguenze della malattia sulla sua attività come musicista, arrangiatore, compositore e direttore d'orchestra.

Uno spazio essenziale e centrale è, ovviamente, affidato alla musica suonata da Ezio, come i classici di Beethoven e Schubert, e alle sue creazioni originali, partendo dalle esperienze compiute con i colleghi del Conservatorio ai progetti che gli hanno permesso di espandere i propri orizzonti diventando un protagonista nel settore cinematografico e teatrale, fino alle memorabili performance come direttore d'orchestra in spazi prestigiosi come l'Arena di Verona e la Fenice di Venezia. Il documentario propone molte testimonianze per provare a delineare un ritratto dell'artista che appare purtroppo più vicino a un'apologia rispetto a un quadro obiettivo che si ponga alla giusta distanza, rimanendo inoltre sulla superficie di ogni elemento che compone la narrazione. Dai primi passi nel mondo della musica all'ultimo periodo della sua vita, Le cose che restano sembra rivolgersi a chi non conosceva Ezio Bosso come artista e, soprattutto, come uomo, diventando uno strumento per scoprirlo, non trovando però la chiave di lettura giusta per essere realmente incisivo, risultando più un insieme di tanti tasselli collegati con un po' di fatica tra loro. Uno degli elementi apprezzabili del lungometraggio è invece la sensibilità con cui si affronta l'ultimo periodo di vita di Ezio Bosso, senza mai entrare nei dettagli privati di un dramma che ha causato un cambio di traiettoria importante e inesorabile nel percorso compiuto dall'artista che ha reagito a una sentenza che non gli ha lasciato particolare speranza trovando ancora più forza e modi nuovi per esprimere le sue esigenze creative e l'energia che lo ha sempre contraddistinto, spingendolo a concentrarsi sull'attività come direttore d'orchestra e sulle composizioni al pianoforte, senza quindi mai abbandonare la musica che è sempre stata la linfa vitale che lo ha sostenuto. Uno dei passaggi che avrebbe meritato maggiore spazio è inoltre quello dedicato alle polemiche e alle critiche rivolte a Bosso e a una (triste) ammissione che "la malattia causa del disagio" tra molte persone.

Le testimonianze, i ricordi e gli aneddoti si intrecciano, ovviamente, con la tanta musica (anche in questo caso spesso, in passato, al centro di commenti poco lusinghieri da parte di numerosi critici che in più di un'occasione lo hanno paragonato a Ludovico Einaudi o Philip Glass usando parole a volte anche dure) che Ezio Bosso ha regalato al mondo; chi ha avuto la fortuna di partecipare a un suo concerto sa che le sue composizioni avevano il dono di far vivere una vera e propria esperienza ai presenti, trasportandoli in una dimensione in cui le emozioni, le difficoltà umane e la vita quotidiana prendevano vita in note, riuscendo a coinvolgere senza mezzi termini e travolgerli con la loro forza e carica espressiva. Sullo schermo si può inoltre ascoltare il brano inedito The Things That Remain e resta un po' il dispiacere nel non scoprire i dettagli della sua creazione e sentir parlare il suo autore, con la sua consueta sapienza e molta ironia, del processo - sempre affascinante e ricco di significato come dimostra il passaggio del lungometraggio in cui parla di The 12th Room e del modo in cui venivano alla luce i suoi brani - che ha portato alla sua ideazione.

Le cose che restano rispetta nei suoi contenuti proprio il titolo del progetto e ripercorre la storia di un artista unico che ha lasciato un segno indelebile in chi ha avuto modo di conoscerlo e collaborare con lui, non approfondendo forse in modo adeguato ogni lato della sua personalità e del suo talento, ma rappresentando un ottimo modo per avvicinarsi a Ezio Bosso, ricordarlo o scoprirne dei dettagli privati poco conosciuti.

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