Eyewitness [prima stagione]: la recensione

Nella sua prima e unica stagione, Eyewitness usa l'arma del thriller per raccontare i disagi dell'adolescenza e dell'accettazione del diverso

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Spoiler Alert
È di pochi giorni fa la notizia della cancellazione, da parte di USA Network, della serie thriller Eyewitness, che aveva raccolto, con la sua prima - e, ormai, unica - stagione un buon consenso di critica ma, purtroppo, esigui risultati in termini di audience. Sebbene la storia presentata offrisse al pubblico un buon cocktail di tensione e mistero, è sul fronte psicologico aveva toccato i propri vertici, declinati nella costruzione di personaggi verosimili e, per questo, accattivanti.

L'estetica di Eyewitness, contraddistinta da una fotografia cianotica e livida che omaggia volutamente i toni scandinavi di Øyevitne (serie norvegese di cui lo show di USA Network è remake), imprime al racconto un immediato tono malinconico e crepuscolare, in contrasto con la giovinezza dei protagonisti che vengono presentati inizialmente. Se, infatti, la parte investigativa sia tutta - o quasi - nelle mani del carismatico sceriffo Helen Torrance (Julianne Nicholson), è ai giovanissimi Philip (Tyler Young) e Lukas (James Paxton, figlio del compianto Bill) che fa riferimento il titolo della serie. Testimoni oculari di un omicidio nel momento chiave della scoperta della loro sessualità, i due ragazzi fungono da traghettatori, per lo spettatore, attraverso le inquietudini di un'età spesso ingrata e densa di contraddizioni.

Eyewitness si concede finezze che ne decretano la netta superiorità rispetto al thriller poliziesco più puro e semplice

Non che gli adulti siano meno tormentati, intendiamoci: sia nella delineazione del passato di Helen, genitrice affidataria di Philip, che persino nel ritratto dell'assassino, Eyewitness si concede finezze che ne decretano la netta superiorità rispetto al thriller poliziesco più puro e semplice, venandola di una lucida tristezza solo in parte riscattata da un finale comunque pregno di tragedia. Per questi delicati tocchi, esemplificati al meglio nel tratteggio della fragile, germinale storia d'amore tra Lukas e Philip, e per la sapiente scrittura del disagio adolescenziale di fronte alle pressanti aspettative del mondo adulto, Eyewitness mancherà non poco al pubblico, forte di prove attoriali di altissimo livello, a partire da Julianne Nicholson per passare alla fresca, magnetica chimica creata da Young e Paxton nelle loro tese scene a due.

Certo, anche il giallo trattato, che abbraccia una vastità di reati non scontata - dal traffico di droga, alla corruzione, allo stupro - garantisce a questa prima stagione un respiro ampio e una tenuta drammatica più o meno costante, costellando la vicenda narrata di colpi di scena utili ma mai esclusivamente macchinosi. Concedendosi solo all'inizio qualche didascalismo di troppo, la serie di USA Network preferisce professare il sacrosanto credo dello show, don't tell, per svelare le pieghe oscure della vita di Helen e l'ostico percorso di auto accettazione di Lukas, che passa attraverso le tappe intermedie della mistificazione, mai quanto oggi aiutata dal ruolo centrale dei social.

In conclusione: Eyewitness ci lascia senza aver rivoluzionato la storia del thriller, ma avendo detto la sua nel campo della costruzione drammatica, manifestando il coraggio di affidare la linea investigativa a un personaggio femminile lontano dai cliché, fragile e universale nella sua difficoltà di conciliare vita familiare e lavoro, e identificando il proprio cuore pulsante nella storia di un amore diverso, nato nella paura e germogliato all'ombra di ostacoli solo all'apparenza più grandi di lui. Di questi piccoli, grandi doni dobbiamo esserle grati, accontentandoci di godere della visione di una prima stagione che rinuncia ai cliffhanger di comodo per concludersi sulle note tenui di una rinascita corale a tutto tondo.

Eyewitness

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