Extrapolations, la recensione

Un cast stellare non salva Extrapolations da un risultato mediocre e privo di mordente, gravemente fiacco rispetto all’argomento trattato

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La nostra recensione di Extrapolations - Oltre il limite, la nuova serie di Apple TV+.

A una prima occhiata, Extrapolations - Oltre il limite è, senza dubbio, una serie tv. Nei suoi otto episodi, altrettante storie s’intrecciano nell’angosciante scenario di un futuro prossimo devastato dalle catastrofi climatiche. Una storia corale irradiata da un cast stellare, una sequela di star chiamate a rapporto per dar voce a un’emergenza ambientale più che mai attuale. Se si guarda appena sotto la superficie, tuttavia, la costruzione drammatica di Extrapolations appare per quel che è: fallata, priva di un genuino carico emozionale, creata ad arte per celare la vera natura dell’ opera. Una natura che non è quella, appunto, di serie tv, ma di vera e propria tesi.

La mente dietro Extrapolations è nientemeno quello Scott Z. Burns che aveva dato vita, nel 2011, al profetico Contagion; e col film diretto da Soderbergh, la serie Apple TV+ manifesta diversi punti in comune, a partire dal già citato bouquet di attori celeberrimi provenienti da diversi punti del globo. Sfortunatamente per lo spettatore e per Burns, Extrapolations diluisce nelle sue otto ore le buone intenzioni iniziali, perdendo in profondità - rispetto al formato filmico - ciò che guadagna in estensione temporale.

Siccità d’emozioni

Lungo i trent’anni e più che vengono abbracciati dalla sua trama, Extrapolations getta un’ombra oscura sul nostro domani, mostrando le conseguenze della globale incuria ambientale; la Terra non è più madre protettrice, ma assassina vendicativa contro coloro che l’hanno maltrattata e umiliata. Dietro la rete di drammi scaturiti dall’emergenza prevista ma colposamente presa sottogamba, troviamo il freddo capo di una megacorporazione, interpretato da un Kit Harington che concede poco - o nessuno - spazio alla mimica emozionale.

La scelta attoriale fatta da Harington non è, di per sé, sbagliata; anzi, si sposa bene con la (ri)comparsa del suo personaggio in una fase molto avanzata della serie, in circostanze per lui insolite. Ciò che stride è l’incoerenza di questo registro rispetto a quello di altri interpreti, come Tobey Maguire, Matthew Rhys o Heather Graham, intenti a calibrarsi su un tono ben più sopra le righe, talvolta comico. Dall’altro lato, più vicini alla prova di Harington, troviamo Marion Cotillard, Tahar Rahid o Edward Norton, in asse con l’orizzonte tragico delineato dalla serie. Il risultato, duole dirlo, è un pastiche di tinte male assortite; un guazzabuglio che, in virtù di una presunta varietà interna, diviene confuso, dispersivo ed emotivamente sterile.

Trionfo visivo

In questo minestrone dal sapore noto, meritano plauso particolare l’intensa Sienna Miller, Daveed Diggs, e Adarsh Gourav, che trovano nell’affollata stagione un palcoscenico degno del loro carisma. Opinabile, invece, l’uso di Meryl Streep come doppiatrice (il suo ruolo di attrice è relegato a un tempo brevissimo) di un personaggio fin troppo ammiccante, dato l’argomento trattato. Di più non diremo, per amor di riserbo: ci limitiamo a riflettere sul fatto che sia l’ennesimo spunto mal sfruttato da una serie le cui ambizioni risultano stratosfericamente più alte del suo risultato finale.

Va comunque dato atto a Extrapolations di portare alla vita un mondo devastato; mondo non più solo evocato dal giusto allarmismo degli ambientalisti, ma messo in scena con sconcertante realismo visuale. Uno scenario tanto più impressionante quanto più si pensa al fatto che la serie inizi nel 2037; non manca molto a quella data, e il paesaggio dipinto da Scott Z. Burns non ha la confortante patina della fantascienza a darci l’illusione della salvezza. Al netto della guarigione dal cancro e della colonizzazione di Marte, il mondo descritto in Extrapolations riguarda noi tutti; avremmo preferito riceverne un’impressione più vivida, invece di questa noiosa, sbiadita carrellata di star.

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