Everything Everywhere All at Once, la recensione

Per quanto il film abbia un suo chiaro messaggio, in Everything Everywhere All at Once è molto più affascinante la continua attesa che crea intorno ai grandi interrogativi dell’esistenza

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La recensione di Everything Everywhere All at Once, al cinema dal 5 ottobre

Esiste un universo parallelo in cui Everything Everywhere All at Once è un film perfetto: dotato di un’estetica visionaria, raffinato nelle sue declinazioni di genere. Una metafora meravigliosamente caotica e travolgente che parla di come ogni singola scelta di vita lasci dietro di sé l’angosciante ombra di un dubbio: e se avessi sbagliato tutto? Si tratta di un universo piuttosto simile al nostro, peccato però che non lo sia davvero, perché pur avendo quasi tutte queste qualità Everything Everywhere All at Once trova il suo piccolo “glitch” nella componente più elementare: quella emotiva.

Scritto e diretto da Dan Kwan e Daniel Scheinert e prodotto dai fratelli Russo, Everything Everywhere All at Once come la sua protagonista raccoglie infinite possibilità dell’esistenza ad un ritmo da capogiro, fa bella mostra di un virtuosismo di stile enciclopedico ed eclettico - tra il cinema di Hong Kong di Wong Kar-Wai e Bruce Lee, la violenza comica/pop di Edgar Wright e il multiverso Marvel - senza però fermare anche solo per un attimo la sua giostra. Per quanto infatti strabiliante per la fluidità psichedelica in cui ci immerge, Everything Everywhere All at Once non ci lascia mai abbastanza tempo per farci rendere conto di quanto alta sia la posta in gioco per la sua protagonista (e quindi la grandezza del suo conflitto, che è ciò che in ultima battuta fa emozionare in un film) facendo così vacillare dalle fondamenta una sceneggiatura che invece ha tutte le carte in regola per diventare un moderno capolavoro.

Il film parte infatti da un’idea banalissima resa in modo geniale: una donna qualunque è l’eroina improbabile che deve salvare l’universo - pardon, gli universi - dalle grinfie di un’antagonista nichilista secondo la quale “niente ha davvero importanza”. Tutto molto classico, se non che la protagonista è una donna cinese di mezza età dal cuore di pietra (Evelyn, una acrobatica Michelle Yeoh) che gestisce una lavanderia a gettoni col marito, che ha problemi con le tasse (da qui si innesta una linea narrativa incredibile) e che i poteri di cui disporrà saranno tanto casuali quanto esilaranti. Non solo infatti i “salti” tra gli universi vengono di volta in volta attivati con le azioni più stupide possibili (tra starnuti e plug anali) ma i poteri che ne deriveranno e che saranno usati per combattere sono anch’esse delle skills fuori contesto ma che funzionano alla grande: per esempio pescando dall’universo dove ha le mani a forma di hot dog, Evelyn ottiene piedi incredibilmente forti e snodati.

La componente di pura messa in scena è decisamente mozzafiato: Kwan e Scheindert riescono a buttarci dentro ad una surrealtà che sa essere credibile ed incredibile allo stesso tempo, ovvero con dei meccanismi pazzoidi ma sempre piuttosto chiari (capiamo bene come funziona il mondo senza che ci servano chissà quali spiegoni) e con un gusto registico che appare sempre divertito, votato all’ironia e alla godibile leggibilità delle scene pur non rinunciando ad un’estetica a volte più costruita (per esempio quando citano In The Mood For Love).

Il problema, o meglio ciò che fa scricchiolare l’intera impalcatura del film, è che per quanto bella questa esagerazione è talmente grande che fa il giro e diventa fin troppo palese, autoevidente. Una struttura enorme che però ripetendosi all’infinito uguale a sé stessa non solo alla lunga leggermente stanca, ma sminuisce anche la sua potenza metaforica. Per quanto allora il film abbia un suo chiaro messaggio (che si svela nel finale) in Everything Everywhere All at Once è molto più affascinante invece la continua attesa che crea intorno ai grandi interrogativi dell’esistenza, l’atmosfera filosofico-ironica che ci costruisce intorno. Un mistero buffo, a volte dolcemente imbarazzante, dove ciò che importa non è l’esito ma la volontà di ricerca.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Everything Everywhere All at Once? Scrivetelo nei commenti!

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