Everybody Loves Diamonds, la recensione
Everybody Loves Diamonds è una serie criminale italiana dallo stampo internazionale che fatica però a trovare un tono convincente
La recensione di Everybody Loves Diamonds, serie disponibile su Amazon Prime Video.
La struttura narrativa della serie
Ci sono film di rapine che passano due ore per arrivare a quel momento. La serie diretta da Gianluca Maria Tavarelli e scritta da Stefano Bises, Michele Astori, Giulio Carrieri e Bernardo Pellegrini decide invece di partire sin da subito sul più bello per poi costruire tutto il resto degli episodi a ritroso e in avanti. Kim Rossi Stuart, reduce dall’intensa prova di Brado, interpreta il gioielliere-ladro Leonardo Notarbartolo. La mente del gruppo. Un ruolo leggero, insolito per l’attore, recitato con un umorismo "meta" in stile Adam McKay per spiegare i dettagli difficili (oppure un House of Cards in salsa nostrana, con i personaggi che guardano in camera e rendono partecipi dei loro pensieri).
Basta poco e tutto si smonta. Arriva il primo momento chiave: il gruppo sta per essere beccato, forse. La tensione dovrebbe essere sorretta dal montaggio che invece è a dir poco raffazzonato. Volutamente amatoriale, accumula una serie di primi piani e di espressioni di stupore con un ritmo zoppicante. Gli attori alzano il tono della recitazione, da un inizio action alla Ocean's Eleven ci si ritrova catapultati in una commedia all’Italiana. L'interesse inizia a scemare mentre il brodo si allunga. Poteva essere un film, invece si trascina per troppe ore.
Generi diversi che non si mescolano bene
Quello che segue infatti non è molto meglio. Everybody Loves Diamonds continua ad essere un macello di idee buttate lì e mai armonizzate, un melting pot di generi narrativi e di citazioni che male si amalgamano. Non si sentano mai sullo stesso registro le star italiane con quelle americane (Rupert Everett e Malcolm McDowell). La sceneggiatura perde sin da subito interesse proprio per la scelta assurda di giocarsi in prima battuta il momento migliore. Tutto il resto della serie è diviso tra un prima del colpo e un dopo il colpo, tenuti insieme con il numero necessario (e forse anche eccessivo) di colpi di scena e tradimenti. Si arriva però al finale aspettandosi quasi tutto quello che poi effettivamente succede.
Peccato che si sia scelto questo tono inutilmente spumeggiante, molto furbo e ammiccante, per raccontare una storia vera già di per sé assurda. Si intenda, dalla cronaca resta molto poco, ma il colpo c’è stato veramente, nel 2003, e i suoi contorni sono realmente così bizzarri che si poteva fare a meno di esagerare pur di inseguire ciò che si crede voglia il pubblico internazionale.
La cosa che più fa arrabbiare di Everybody Loves Diamonds è infatti la venerazione totale verso i suoi modelli che gli impedisce di trovare uno stile e un carattere proprio (anche nostrano). Si potrebbe riempire la citazione solo descrivendo i momenti che ricordano altri film ben più celebri. Questo non sarebbe per forza un male se da questo collage uscisse un disegno nuovo. Invece in questo modo la serie si fa da sola il peggiore dei dispetti. Evocando i modelli nobili (le motivazioni del protagonista potrebbero appartenere a un Breaking Bad italiano: i crimini sì, ma per la famiglia) è come se si aprisse al confronto con questi in molti dei suoi momenti clou. Quasi sempre ne esce sconfitta.
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