Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon A Time, la recensione

Con Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon A Time arriva l'ultima delle chiusure della storia di Hideaki Anno e forse è la meno convincente

Critico e giornalista cinematografico


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Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon A Time, la recensione

Shinji ha causato il Near Third Impact e ora è ancora più odiato di prima, più disprezzato per le sue paure, le sue ansie e tutto quello che gli impedisce di essere l’eroe di un anime classico fatto di robot comandati da ragazzi. Solo che quando lo abbiamo incontrato per la prima volta, quasi 30 anni fa, questo lo rendeva un personaggio sui generis, un ragazzo che non aveva niente dell’eroe, eppure era obbligato a diventarlo da un padre tirannico, oggi invece il suo potenziale distruttivo è stato assorbito. Oggi è pieno di Shinji. Forse per questo il quarto e ultimo film di questa nuova serie di lungometraggi che riraccontano la storia di Neon Genesis Evangelion, cambiandone completamente gli esiti, ne esaspera la condizione di emarginato e vessato che lo contraddistingue.

Hideaki Anno decide di spingere molto più che in precedenza sull’asse apocalittico, dilatando proprio il momento dell’apocalisse per renderla (un po’ come in Akira e in tanti racconti giapponesi degli anni ‘80 e ‘90) una palingenesi spirituale dei protagonisti, un non luogo in cui incontrarsi in forme astrali, in cui passato e presente, ricordi e futuro, si mescolano e si può ascoltare la propria vera essenza, confessandosi ciò che nella vita di tutti i giorni si stenta a dire. Questa però è solo una parte di Evangelion che questo quarto film eleva a grande chiusa in una carrellata di personaggi della serie e ricordi.

Una chiusa, va detto, che convince poco non solo per quel che accade (di certo coerente con la storia di Evangelion), ma per quello che significa e come Hideaki Anno vuole arrivarci. È marginalizzata la simbologia cristiana (rimangono tutte le immagini che già conoscevamo ma nulla è aggiunto se non che scopriamo che un personaggio si chiama Iscariota di cognome) e la computer grafica sostituisce il disegno 2D in tantissime parti, anche gli scontri tra EVA, cambiandone i movimenti e rendendoli un po’ meno curati e più meccanici. Fa ridere perché sappiamo che gli EVA non sono proprio meccanici e questa loro reale natura anche sarebbe esasperata nella nuova versione, in una naturale evoluzione di quello che accadeva nella serie.

In tutto e per tutto l’impressione è che Anno sia andato avanti nella medesima direzione impostata fin dall’inizio, con grandissima coerenza, tuttavia con un desiderio un po' fastidioso di chiudere tutto in modo che non ci siano misteri.

Di tutto Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon a Time si ricorda solo un momento realmente potente (uno scontro importante in vari luoghi cruciali per la serie) a fronte di grandissime spiegazioni a parole molto lunghe. I personaggi e gli EVA sono evoluti come fossimo in Dragon Ball, contaminando, ibridando e aumentando le potenze e solo il comparto musicale sembra davvero quello con cui qualcuno si è onestamente divertito.

Il Vangelo Del Nuovo Mondo questa volta vuole sublimare l’animazione stessa, rompere i confini, deviare sul bianco e nero bozzettato, sul pittorico e poi sui colori classici della serie, inscenare teatri di posa con scenografie posticce che gli EVA distruggono, mettere immagini proiettate della serie originale e finire addirittura con panorami dal vero. Tutto per aumentare il senso di rottura e ricomposizione. Hideaki Anno annulla il confine della sua opera in un desiderio titanico di rinnovare tutto anche se poi, di fatto, rinnova pochissimo. Questo Evangelion è un’altra cosa, ha poco dello spirito dell’originale (anche perché sono passati quasi 30 anni) e sembra più soddisfare chi vuole capire tutto tramite la logica che chi agli anime chiede di lavorare di intuizione.

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