Eravamo canzoni, la recensione

Accontentandosi di semplificazioni narrative e non potendo mantenere la promessa di approfondirle in futuro, Eravamo canzoni rimane una via di mezzo che, per quanto attraente, non soddisfa mai fino in fondo.

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Eravamo canzoni, la recensione

Eravamo canzoni sembra in tutto e per tutto la puntata pilota di una serie tv. E, in effetti, i suoi riferimenti sono esattamente seriali, tra una protagonista che parla alla macchina da presa proprio come Phoebe Waller-Bridge in Fleabag e una scrittura dei personaggi che strizza l’occhio al formato breve. Eravamo canzoni di Juana Macías è poi evidentemente di casa in quell’atmosfera pop, modaiola e irriverente - e molto colorata - che proprio un’altra serie spagnola quale Valeria (anche questa targata Netflix e ambientata a Madrid) ha recentemente proposto, parlando di sessualità e relazioni in una chiave disinvolta, sì moderna ma mai davvero impegnata.

È quindi piuttosto complicato inquadrare Eravamo canzoni come un lungometraggio, o valutarlo come tale, poiché l’effetto che dà è praticamente opposto se lo si vede come un film o se, paradossalmente, ci si illude che si tratti di una serie. Se lo si vede come un film, il modo sbrigativo e semplificato con cui affronta i problemi sentimentali di Maca, Jimena e Adri fa storcere il naso. I grandi dilemmi esistenziali delle protagoniste (rispettivamente accettare un abbandono, un lutto e la fine di un matrimonio) vengono risolti fin troppo facilmente, la struttura narrativa è prevedibile e il film non va mai in profondità nonostante il tempo che ha a disposizione. 

Se, tuttavia, ci si illude di stare guardando una puntata, ecco che Eravamo canzoni si cala improvvisamente nella sua dimensione perfetta e l’esperienza di visione diventa molto più appagante. Come per magia la semplicità diventa una nota positiva, un aspetto necessario in vista di una costruzione successiva che raccoglierà i frutti di questa sistematica introduzione. Purtroppo, tuttavia, in Eravamo canzoni è molto più convincente l’illusione di una possibile prosecuzione che il film in sé. Basti pensare a come i finali dei personaggi non sembrano veri finali: sono equilibri apparenti, soluzioni temporanee che non promettono avere la stabilità che tanto declamano. 

Se ci si aliena dalla dimensione strutturale, dall’arco dei personaggi, e ci si focalizza sull’apparato estetico e stilistico, Eravamo canzoni è invece accattivante, dinamico, fresco. Non è qualcosa di originale in sé - il modo in cui pesca e piene mani da Fleabag è evidente - ma è comunque un’ammirevole dimostrazione del non volersi accontentare di una bella fotografia e di un piacevole set design.

La sola sequenza iniziale vale in questo senso come biglietto da visita, tra veloci panning ed esplorazioni della macchina da presa che subito suggeriscono la vena leggermente surreale del film, la quale rende il tutto molto più interessante di quanto non suggerisca la trama. Nei momenti di crisi la protagonista Maca (María Valverde) può infatti parlare, oltre che con lo spettatore, con diverse versioni di sé stessa, contornata da un ironico cartello luminoso; può interagire con le versioni passate di sé e degli altri personaggi, buttandosi nei ricordi per risolvere i suoi problemi; può dire di essere in una commedia romantica per far succedere delle cose (far piovere nei momenti romantici, cambiare finali). In questi momenti Eravamo canzoni convince totalmente, funziona. Le verità che ne trae non sono di chissà quale sofisticazione, ma il modo irriverente con cui ci arriva fa almeno strappare un sorriso.

È un vero peccato vedere quindi come questi sforzi siano rovinati da un’indecisione strutturale sul formato. Accontentandosi di semplificazioni narrative e non potendo mantenere la promessa di approfondirle in futuro, Eravamo canzoni rimane una via di mezzo che, per quanto attraente, non soddisfa mai fino in fondo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Eravamo canzoni? Scrivetelo nei commenti!

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