Eravamo bambini, la recensione

Partito come un film noir, Eravamo bambini si riempie di intimismo e di una realizzazione dozzinale finendo fuori strada

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Eravamo bambini, il film di Marco Martani in uscita in sala dal 21 marzo

È veramente strano che un film Wildside, uno scritto e diretto da uno dei fondatori dello studio (Marco Martani), sia prodotto così: con musiche generiche, un look dimesso e in disarmo e una recitazione tirata via. Non è una confezione da B movie (che pure ci sarebbe stata bene) ma una che fornisce l’impressione di essere stata messa insieme in fretta. Anche per questo, nonostante il soggetto di Eravamo bambini sia molto buono, nonostante i personaggi, le loro relazioni e l’intreccio in cui sono coinvolti siano giusti, il film poi è un continuo sprecare questa buona impostazione.

Un gruppo di amici rimasto blandamente in contatto da adulti, dopo aver passato diverse estati insieme in Calabria, decide di tornare lì in Calabria per sistemare qualcosa che si intuisce essere grave. Le loro vite non sono andate bene anche per chi ha avuto successo. Vediamo il loro ritorno insieme a diversi flashback di quando erano bambini che progressivamente si avvicinano al fattaccio la cui eredità non li ha più abbandonati. Qualsiasi cosa sia successa non è piacevole e qualsiasi sia quello che vogliono fare, non sarà priva di conseguenze né facile da portare a termine.

Martani ha deciso di improntare tutto il racconto intorno al mistero di questo evento e quindi di quello che i protagonisti intendono fare. In questo senso l’aria che si respira è quella giusta. Amara. Derelitta e da ultima spiaggia, l’aria che fa pensare che persone normali possano fare qualcosa di rischioso. Ma troppo dozzinale è la realizzazione per poter avere un effetto, troppo da poco è tutto il comparto tecnico per avere quel tipo di decisione e di resa che valorizzi questi spunti. La fiducia che il film ha nel tirante di questo mistero lo porta a trascurare l’intreccio propriamente detto e a riempirsi di momenti di struggimento interiore che mal si amalgamano con il tono e le finalità del film.

Infatti, nonostante inizi promettendo questioni criminali e di genere, Eravamo bambini per tantissimo tempo fa altro, si trastulla con intimismo da flashback, con ricordi infantili e piccole sofferenze individuali delle quali non riesce a fare un cardine. E se Francesco Russo fa il solito gran lavoro da caratterista che risulta più interessante dei protagonisti, riuscendo a dare un senso all'intimismo del film (ma anche Lucrezia Guidone ha capito davvero come dare un senso al suo personaggio), altri come Massimo Popolizio non sono tenuti a bada e vanno a ruota libera, finendo ampiamente fuori dal film. Così benchè sia evidente che siamo dalle parti del noir, la frustrazione per questo mistero che aumenta in un film che si fa sempre più intimista e meno di genere, finisce con lo spegnere qualsiasi curiosità e interesse. Quando poi capiremo di cosa parliamo e i misteri saranno svelati difficilmente il risultato potrà essere all’altezza delle aspettative create.

Continua a leggere su BadTaste