Eragon
Un ragazzo trova una strana pietra, che in realtà si rivela essere un uovo di drago. Una volta dischiuso, il suo destino di cavaliere dei draghi è segnato. L’adattamento del romanzo di Christopher Paolini è mediocre e decisamente non all’altezza delle aspettative…
Non è difficile capire i segreti di tanto successo: una formula collaudata, in cui le influenze de Il Signore degli Anelli e di Guerre Stellari si fanno sentire pesantemente, con l’aggiunta determinante di un protagonista post-adolescente, che ovviamente suscita l’immedesimazione del pubblico.
Per carità, è impossibile parlare di operazione studiata a tavolino. Anzi, proprio alcune caratteristiche dell’opera fanno capire l’ingenuità di tutta la situazione. Qualsiasi consulente editoriale che volesse dar vita ad un prodotto di successo e che si trovasse di fronte alla storia di Galbatorix, farebbe notare le eccessive rassomiglianze con le vicende di Anakin Skywalker e chiederebbe assolutamente delle modifiche. In realtà, leggere Eragon è come ascoltare dei demo di un gruppo punk di adolescenti: magari l’originalità non è notevole e i mezzi tecnici appena sufficienti, ma c’è sicuramente un’energia e un coinvolgimento che magari manca in lavori più ‘professionali’.
Insomma, materiale interessante per un regista di talento. Quale purtroppo non è Stefen Fangmeier. Il regista sembra voler giocare sul sicuro: non osa praticamente nulla e, più che un bruttissimo film (come parlavano le recensioni oltreoceano), siamo di fronte ad un’opera mediocre e quasi sempre insulsa. Mi aveva già lasciato molto perplesso l’idea che una pellicola del genere venisse affidata ad un tecnico degli effetti speciali (anche se con un curriculum notevolissimo nel campo), ma il problema maggiore è la direzione degli attori, campo in cui Fangmeier non sembra proprio Robert Altman. In realtà, sarebbe stato meglio affiancarlo a qualcuno in grado di gestire e sfruttare meglio un cast decisamente prestigioso.
In realtà, l’operazione cinematografica si prende qualche rischio nell’adattamento del libro. I cambiamenti sono, in effetti, notevoli, soprattutto nella prima parte. Ma in realtà, nonostante le polemiche degli appassionati, diverse cose sono giustificate (soprattutto l’aver acuito diversi contrasti tra i personaggi) e alcune idee non sono affatto male (ne parleremo magari più diffusamente in un articolo specifico, ovviamente molto spoileroso).
Quello che però manca è decisamente un respiro epico, in cui almeno si tenti di sfiorare (non dico di raggiungere) l’impatto de Il Signore degli Anelli. In effetti, un’ora e quarantacinque scarsa è decisamente poco per una pellicola del genere, anche se non oso pensare all’effetto soporifero di vedere un film poco avvincente come questo per due ore e mezzo o addirittura tre.
Per quanto riguarda gli attori, il discorso è decisamente complesso. Jeremy Irons, a mio avviso, è il migliore, anche se a tratti deve declamare dialoghi francamente poco convincenti e troppo enfatici. Il ‘re’ John Malkovich si vede pochissimo (l’impressione è che sia soltanto un’introduzione per un’eventuale sequel), ma non sembra perfettamente in parte e soprattutto manca del carisma necessario.
Il giovane Ed Speelers purtroppo non è in grado di reggere il peso di un film (e un ruolo) del genere, poco aiutato da una sceneggiatura che non gli permette di mostrare la sua evoluzione da semplice contadino ad eroe. In effetti, l’idea che possa non dico sconfiggere, ma anche solo sopravvivere allo scontro con Durza, è poco credibile. E a proposito di Durza, c’è da dire che si tratta dell’interpretazione peggiore, opera di un Robert Carlyle seppellito da montagne di trucco becero e che gigioneggia senza sosta, nonostante poi risulti un cattivo da operetta.
Saphira merita un discorso a parte. Il cucciolo di drago è delizioso ed è senza dubbio il lavoro migliore compiuto dagli effettisti in questo film. Anche il drago adulto (la crescita è forse un po’ troppo repentina, ma la storia non poteva permettersi di mostrare tutti i passaggi) è convincente e ben realizzato. Il problema è quando parla.
Ovviamente, non mi riferisco all’originale doppiato dal premio Oscar Rachel Weisz, ma della disastrosa scelta di Ilaria D’Amico, decisamente più a suo agio con le conduzioni di trasmissioni sportive. Qui la giornalista non sembra neanche lei, tanto la sua voce è palesemente impostata e poco naturale, mentre in alcuni casi sembra quasi balbettare. Siamo ad uno dei punti più bassi raggiunti da una doppiatrice (si fa per dire, ovviamente), quindi è meglio che vi prepariate al peggio.
E ora, cosa ci riserva il futuro? Il budget ufficiale parla di 100 milioni di dollari, ma è probabile che la cifra reale (come capita quasi sempre con queste produzioni) sia di 20-30 milioni superiore. Il risultato al primo weekend negli Stati Uniti non è stato malvagio (23 milioni di dollari), mentre all’estero ha ottenuto incassi altalenanti (bene in Spagna e in Germania, male in Inghilterra), conquistando altri 30 milioni nelle 76 nazioni in cui è uscito. Sarà quindi determinante capire quale sarà il passaparola e se la pellicola verrà vista anche dai non appassionati del genere. Al momento, sia le recensioni che il responso dei fan non sembra positivo e quindi il rischio di non andare in attivo è molto alto, con l’ovvia conseguenza di non portare sullo schermo i restanti due capitoli della trilogia. Un pericolo che francamente, dopo aver visto questo primo episodio, non mi tiene con il fiato sospeso…