Era ora, la recensione

Una premessa fantastica in Era ora lascia emergere in pieno il personaggio che Edoardo Leo incarna da diversi film: l'italiano smarrito

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Era ora, il film di Alessandro Aronadio disponibile su Netflix dal 16 marzo

Un buon titolo alternativo per Era ora poteva essere L’uomo che saltava nel tempo, se non fosse che il protagonista di questa storia non salta volontariamente di un anno in avanti ogni manciata di ore nel giorno del suo compleanno finendo nello stesso giorno dell’anno successivo. È intrappolato suo malgrado in questa condanna, in una maniera non diversa da quella in cui Bill Murray era costretto a rivivere sempre la medesima giornata. Non sa perché, non sa come uscirne, non sa cosa farci. Noi invece lo sappiamo come funzionano queste cose: la maledizione continuerà fino a che il protagonista non maturerà una consapevolezza. Nel caso specifico si tratta di una consapevolezza da cinema americano post reaganiano degli anni ‘90: non vale la pena di lavorare tanto, bisogna vivere il presente, stare con i propri cari, coltivare gli affetti e non farsi prendere dalle frenesie del capitale.

L’idea è sufficientemente originale e Alessandro Aronadio si muove con una certa confidenza in questo territorio da commedia americana, toccando veramente da lontano la parte di commedia e concentrandosi sull’intreccio. Cosa che va bene, soprattutto visto il protagonista. Edoardo Leo da anni, in film diversi e con personaggi diversi, incarna una nuova versione dell’everyman italiano. A modo suo. Non lo fa per criticarlo, come facevano con gli attori italiani degli anni ‘50 e ‘60: lo incarna e lo rappresenta. Ai suoi personaggi dà sempre un’aria refrattaria al cambiamento, e quindi anche alla modernità, sono sempre un po’ spaesati per una ragione o per l’altra (stavolta ha ottime ragioni per esserlo) e cronicamente insoddisfatti o fallimentari. Smarrito nella società che gli sta intorno è sempre indietro, per qualche ragione, e non desidera recuperare. L’avatar perfetto di un paese disperato di fronte ai cambiamenti e che nei sogni ha sempre il desiderio di fermare tutto.

Anche per questa ragione Era ora è l’apoteosi di questo personaggio. Saltare avanti nel tempo lo rende sempre spaesato, e lo mette sempre più indietro degli altri, così indietro che inspiegabilmente dopo 4-5 salti ancora non ha capito il meccanismo di cui è parte e si pone sempre le stesse domande. Non riconosce le nuove tecnologie, non sa nulla dei cambiamenti che occorrono tra il 2011 e il 2019 (più o meno gli anni tra cui salta) e cerca di fare in modo che nulla cambi. Di anno in anno, infatti, la sua vita muta e peggiora nonostante per quelle poche ore lui cerchi di riparare o riportare tutto indietro. In questo modo è come in lotta con un altro sé che non vediamo mai, quello che agisce per il resto dell’anno.

La riuscita di un film come questo è tutta questione di equilibrio. C’è un arco narrativo molto chiaro e una formula a cui rispondere, dentro la quale muoversi quanto più è possibile per adattare a sé quel vestito. Era ora risponde bene alla struttura e ne comprende tutte le figure chiave (c’è anche un riuscito amico stropicciato del protagonista, una parte che sembra scritta per Libero De Rienzo) anche se non sempre è impeccabile. Diventa evidente quando arriva la parte della riflessione, la più temuta in un film italiano, sempre una mazzata che uccide ritmi già non proprio stellari e affonda il coltello nella retorica.

Nei casi peggiori lo fa anche con le immagini, sconfinando nel supplizio. Lo spettatore esperto sa che deve prendere fiato e tenere duro, perché in fondo, se aspetta un po', anche quello passa.

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