Enrico IV, la recensione

Abbiamo letto e recensito per voi Enrico IV di Lorenzo Bianchi e Angelica Regni, tratto dall'omonimo capolavoro di Pirandello

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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Siete tra coloro che ancora usano o almeno conoscono il detto "andare a Canossa" per intendere l'accettazione di una sconfitta, un'umiliazione pubblica, una ritrattazione delle proprie posizioni? Non siamo rimasti in molti. Del resto, le nuove generazioni fanno ben scarso uso dei motti più semplici, figuriamoci di quelli nati da eventi storici come la penitenza accettata da Enrico di Franconia, quarto del suo nome e imperatore di Sassonia, di fronte a Papa Gregorio VII che l'aveva scomunicato per ragioni politiche, nella lotta fra i due fari della cristianità medievale. A conoscere fin troppo bene il detto e la storia che n'è origine è però il protagonista dell'Enrico IV, dramma di Luigi Pirandello e capolavoro del teatro europeo moderno che fa da riferimento all'omonimo fumetto di Lorenzo Bianchi e Angelica Regni di cui vi parliamo in questa recensione.

Il protagonista in questione è un nobile italiano dei primi del Novecento che, vittima di una sfortunata, ma non del tutto casuale caduta da cavallo, avvenuta durante una sorta di mascherata in cui egli aveva il ruolo del celebre imperatore germanico, batté fortemente la testa e sviluppò una forma di pazzia: la convinzione di essere proprio Enrico IV. Come curare una tale malattia? Un medico creativo e illuminato decide di assumere attori e affittare un teatro, in maniera da mantenere in vita l'illusione del malcapitato che, recitando da folle la parte del personaggio storico, sarebbe lentamente tornato alla realtà. Vent'anni dopo, pare non abbia funzionato.

Se ne rendono conto alcune persone che vengono a trovarlo: un amico e rivale in amore, forse colpevole dell'incidente a cavallo che privò del senno il protagonista; la ragazza, ormai donna, di cui era innamorato il folle, ora moglie del rivale; la figlia dei due, del tutto identica alla madre da giovane; un amico; uno psichiatra interessato al paziente e alla sua particolarissima cura. Quel che non sanno i visitatori è che Enrico è in realtà guarito da ben otto anni e, per qualche ragione nota solo a lui, finge da allora di essere ancora nella usa condizione di infermità, perpetuando la recita con l'ignara complicità di attori sempre nuovi che si alternano per tenerla in piedi. La storia prevede rivelazioni clamorose, agnizioni, equivoci e una gran confusione tra la realtà e l'illusione, tra il mondo della finzione e quello di una verità che sempre, nelle opere di Pirandello, non è altro che l'illusione più grande di tutte.

Un buon lavoro di traslazione da teatro a fumetto, quello di Bianchi e Regni. Del resto, le sceneggiature teatrali si prestano molto a questo tipo di operazione, anche più di quelle cinematografiche, perché c'è molto più da aggiungere: a teatro non esistono primi piani, inquadrature, movimenti del punto di vista tipici di un film e di un fumetto. Ecco perché è interessante questo Enrico IV, soprattutto per chi abbia visto almeno una volta il dramma pirandelliano e, come chi scrive, lo abbia amato moltissimo.

Lorenzo Bianchi è bravo, sceglie con intelligenza quali scene conservare, quali tagliare, cosa dire e cosa non dire. Sa di non poter pretendere un tempo di lettura troppo lungo e riassume la vicenda nelle sue parti salienti, introducendo i personaggi in maniera sintetica, ma effiace e completa. Angelica Regni è una disegnatrice davvero talentuosa, cosa di cui ci eravamo già accorti nel proporvi l'anteprima dedicata a questo volume prima della sua uscita lucchese. Personaggi riconoscibili e perfettamente coerenti nel corso della lettura, dal punto di vista della caratterizzazione e dei tratti somatici, sono ritratti con uno stile sospeso, preciso, ma dal tratto mai troppo pulito, incerto quanto basta a suggerire il clima di dubbio costante che caratterizza la messinscena di Pirandello, la confusione di piani che è la chiave del suo teatro nel teatro, la mancanza di concretezza di ciò a cui stiamo assistendo.

Buono il ritmo delle tavole e quello della narrazione che scorre via senza grandi intoppi. Ammirevole, anche se dato il testo di partenza non poteva che essere così, anche la resa dei dialoghi di questo fumetto interessante che rende un buon omaggio a una delle pietre miliari della drammaturgia non solo del nostro paese. Se non fosse... Se non fosse per un finale che, per quanto piuttosto fedele, come tutto il resto, a Pirandello, ci ha lasciati un po' con l'amaro in bocca. Proprio quando gli eventi precipitano, quando le rivelazioni si inseguono, quando il protagonista prenderebbe per sé il proscenio per svelare se stesso e tutti gli inganni al pubblico in sala, ammutolito dalle trame che gli si dipanano di fronte, manca un po' di coraggio.

Ci saremmo aspettati che la tavola fosse meno disciplinata, meno regolarmente equilibrata che nel resto della storia, per esempio. Sarebbe stata forse necessaria qualche vignetta più grande per sottolineare l'importanza del momento, il colpo di scena, e comunicare così la tensione narrativa che a teatro è percepibile in una buona resa del testo. Sarebbe servito uno scatto in avanti, qualcosa che andasse oltre il pur ottimo lavoro della Regni. Invece il tono della narrazione rimane lo stesso la costruzione ordinata delle tavole non insegue e non accompagna l'anticonformismo dell'autore, la sua prospettiva modernissima nei confronti della vita e del teatro. Peccato per questa debolezza sul finale di una buonissima prova, che rimane da leggere e far leggere.

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