Enrico IV, la recensione
Abbiamo letto e recensito per voi Enrico IV di Lorenzo Bianchi e Angelica Regni, tratto dall'omonimo capolavoro di Pirandello
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Il protagonista in questione è un nobile italiano dei primi del Novecento che, vittima di una sfortunata, ma non del tutto casuale caduta da cavallo, avvenuta durante una sorta di mascherata in cui egli aveva il ruolo del celebre imperatore germanico, batté fortemente la testa e sviluppò una forma di pazzia: la convinzione di essere proprio Enrico IV. Come curare una tale malattia? Un medico creativo e illuminato decide di assumere attori e affittare un teatro, in maniera da mantenere in vita l'illusione del malcapitato che, recitando da folle la parte del personaggio storico, sarebbe lentamente tornato alla realtà. Vent'anni dopo, pare non abbia funzionato.
Un buon lavoro di traslazione da teatro a fumetto, quello di Bianchi e Regni. Del resto, le sceneggiature teatrali si prestano molto a questo tipo di operazione, anche più di quelle cinematografiche, perché c'è molto più da aggiungere: a teatro non esistono primi piani, inquadrature, movimenti del punto di vista tipici di un film e di un fumetto. Ecco perché è interessante questo Enrico IV, soprattutto per chi abbia visto almeno una volta il dramma pirandelliano e, come chi scrive, lo abbia amato moltissimo.
Buono il ritmo delle tavole e quello della narrazione che scorre via senza grandi intoppi. Ammirevole, anche se dato il testo di partenza non poteva che essere così, anche la resa dei dialoghi di questo fumetto interessante che rende un buon omaggio a una delle pietre miliari della drammaturgia non solo del nostro paese. Se non fosse... Se non fosse per un finale che, per quanto piuttosto fedele, come tutto il resto, a Pirandello, ci ha lasciati un po' con l'amaro in bocca. Proprio quando gli eventi precipitano, quando le rivelazioni si inseguono, quando il protagonista prenderebbe per sé il proscenio per svelare se stesso e tutti gli inganni al pubblico in sala, ammutolito dalle trame che gli si dipanano di fronte, manca un po' di coraggio.
Ci saremmo aspettati che la tavola fosse meno disciplinata, meno regolarmente equilibrata che nel resto della storia, per esempio. Sarebbe stata forse necessaria qualche vignetta più grande per sottolineare l'importanza del momento, il colpo di scena, e comunicare così la tensione narrativa che a teatro è percepibile in una buona resa del testo. Sarebbe servito uno scatto in avanti, qualcosa che andasse oltre il pur ottimo lavoro della Regni. Invece il tono della narrazione rimane lo stesso la costruzione ordinata delle tavole non insegue e non accompagna l'anticonformismo dell'autore, la sua prospettiva modernissima nei confronti della vita e del teatro. Peccato per questa debolezza sul finale di una buonissima prova, che rimane da leggere e far leggere.