Ennio Doris - C'è anche domani, la recensione del film
Propaganda la decenza, a un pubblico televisivo distratto il film su Ennio Doris propone mito, patriottismo e rinforzo degli stereotipi
La recensione di Ennio Doris - C'è anche domani, il film sulla vita di Ennio Doris, al cinema il 15, 16 e 17 aprile
Il film di Giacomo Campiotti tratto dall’autobiografia di Doris è scandito per epoche nel più classico racconto di self made man da zero: la vita da bambino in una famiglia contadina senza niente da mangiare sul desco, ma felice e serena; i primi anni di lavoro con le idee rivoluzionarie, le polizze portate ai contadini nei campi di grano scalzo; il rampantismo anni ‘80 ma senza competitività anzi, improntato all’aiuto dei colleghi e dei rivali; il grande progetto con Berlusconi di Mediolanum (la cui idea non è raccontata come un’ottima trovata d’affari ma come quella che ha cambiato per sempre il nostro mondo) e poi il momento cardine che domina tutto il film, cioè quando dopo il fallimento di Lehman Brothers del 2008 Mediolanum assicurò i risparmi dei suoi clienti attingendo al patrimonio personale di Doris, contro il parere di qualsiasi altro banchiere spietato (cioè gli altri). L’equivalente di Superman che salva il bus pieno di bambini che vanno a scuola.
Allo stesso modo cavalcare un’estetica già consolidata, truccando e vestendo la sua versione giovane come Patrick Bateman di American Psycho, e mettendolo al telefono a vendere come Jordan Belfort di Wolf Of Wall Street, con lo stesso sguardo allucinato ma non di droga o raptus omicida, quanto di ottimismo, felicità e bontà, non lo rende una versione accettabile di quei modelli ma due volte più spaventoso. E troppo dovrebbe fare Massimo Ghini, che lo interpreta da anziano con una serenità papalina, impegnato a spostare vacche per strada in prima persona (ridendo, felice!) quando bloccano la sua auto, o a stare un po’ curvo come un Dalai Lama affaticato dagli anni mentre riceve questue di comparse che chiedono grazie nel suo ufficio. La costruzione di questo mito è così maldestra tecnicamente, che non può essere raddrizzata, solo subita e forse sabotata all’interno, come quando si scopre che nella villa miliardaria è stata ricostruita la casetta umile in cui è cresciuto, e che è lì che marito e moglie passano le giornate. Come se fosse la rappresentazione di un punto dell'inconscio mai superato, un trauma che esiste dentro un presente diverso come una prigione fatta di fagiolini da spezzare e torte cucinate di notte dalla quale non si può uscire.