Ennio Doris - C'è anche domani, la recensione del film

Propaganda la decenza, a un pubblico televisivo distratto il film su Ennio Doris propone mito, patriottismo e rinforzo degli stereotipi

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Ennio Doris - C'è anche domani, il film sulla vita di Ennio Doris, al cinema il 15, 16 e 17 aprile

L’uomo che migliorava la vita alla gente. L’Ennio Doris di C’è anche domani è una figura messianica, ogni sua azione è improntata all’altruismo e a fare qualcosa per gli altri. Eroe tradizionale che nella prima scena gioca a scopetta nel suo paesino, su un tavolo di legno con amici locali, ma come Batman è chiamato al dovere da una telefonata che lo avverte che è in arrivo una crisi fortissima. L’espressione si fa grave, e mentre i compagni di scopetta vanno via in Ape Piaggio, dietro l’angolo Ennio prende il suo elicottero: è ora di andare. Quello che seguirà sarà un ritratto agiografico a misura di fiction, cioè fatto per ridurre ogni suo momento al proprio stereotipo di riferimento (e senza metterlo in discussione ma anzi cercando di centrarlo in pieno), con la peggiore opinione possibile del proprio spettatore di riferimento: qualcuno che possa capire solo ciò che ha già sentito altre mille volte e che invece che essere scettico di fronte a tanto stereotipo ne venga convinto proprio perché archetipico.

Il film di Giacomo Campiotti tratto dall’autobiografia di Doris è scandito per epoche nel più classico racconto di self made man da zero: la vita da bambino in una famiglia contadina senza niente da mangiare sul desco, ma felice e serena; i primi anni di lavoro con le idee rivoluzionarie, le polizze portate ai contadini nei campi di grano scalzo; il rampantismo anni ‘80 ma senza competitività anzi, improntato all’aiuto dei colleghi e dei rivali; il grande progetto con Berlusconi di Mediolanum (la cui idea non è raccontata come un’ottima trovata d’affari ma come quella che ha cambiato per sempre il nostro mondo) e poi il momento cardine che domina tutto il film, cioè quando dopo il fallimento di Lehman Brothers del 2008 Mediolanum assicurò i risparmi dei suoi clienti attingendo al patrimonio personale di Doris, contro il parere di qualsiasi altro banchiere spietato (cioè gli altri). L’equivalente di Superman che salva il bus pieno di bambini che vanno a scuola.

Era chiaro e abbastanza prevedibile che Ennio Doris - C’è anche domani, film prodotto da Medusa, sarebbe stato un trionfo molto scomposto e un’agiografia maldestra. Non era prevedibile però che fosse anche così insistente e senza limiti da ricordare le parodie del suo genere (su tutte Un uomo per tutte le stagioni, il film sulla vita del sig. Burns in I Simpson). Accade così che con così poco controllo e gestione dei toni emergano facilmente livelli di lettura involontari e controproducenti per gli intenti del film. Nel voler raccontare un ottimismo inguaribile, Doris viene mostrato in due occasioni prendere una terribile notizia finanziaria, che porterà a disastri e perdite, con una fiducia nel domani tale da andare a festeggiare con la moglie in motoscafo a Portofino in un montaggio musicale lieto, o decidere di cenare sotto la torre Eiffel a ostriche. Doris ne esce così come un folle che festeggia ogni qualvolta che vede il mondo della finanza bruciare.

Allo stesso modo cavalcare un’estetica già consolidata, truccando e vestendo la sua versione giovane come Patrick Bateman di American Psycho, e mettendolo al telefono a vendere come Jordan Belfort di Wolf Of Wall Street, con lo stesso sguardo allucinato ma non di droga o raptus omicida, quanto di ottimismo, felicità e bontà, non lo rende una versione accettabile di quei modelli ma due volte più spaventoso. E troppo dovrebbe fare Massimo Ghini, che lo interpreta da anziano con una serenità papalina, impegnato a spostare vacche per strada in prima persona (ridendo, felice!) quando bloccano la sua auto, o a stare un po’ curvo come un Dalai Lama affaticato dagli anni mentre riceve questue di comparse che chiedono grazie nel suo ufficio. La costruzione di questo mito è così maldestra tecnicamente, che non può essere raddrizzata, solo subita e forse sabotata all’interno, come quando si scopre che nella villa miliardaria è stata ricostruita la casetta umile in cui è cresciuto, e che è lì che marito e moglie passano le giornate. Come se fosse la rappresentazione di un punto dell'inconscio mai superato, un trauma che esiste dentro un presente diverso come una prigione fatta di fagiolini da spezzare e torte cucinate di notte dalla quale non si può uscire.

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