Enlightened: il lungo cammino verso l'illuminazione (recensione)

Il percorso verso l'illuminazione si avvicina alla conclusione, con un finale di stagione straordinario per intensità e livello di scrittura...

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi

"Lo so, siamo tutti ben poca cosa di fronte all'Universo e suppongo che il massimo che uno possa sperare è di fare qualche volta la differenza. Ma io quando mai ho fatto la differenza?" (About Schmidt)

Riscattare se stessi di fronte alla vita, diventare i protagonisti di quel bellissimo romanzo che racconta la nostra esistenza, spezzare il "guscio dell'uovo per poter rivoluzionare il mondo". Cos'è la ricerca della vera illuminazione, se non il tentativo infinito di trasformare la nostra luce interiore in qualcosa che ci riscatti agli occhi del mondo e degli altri, una luce che diventi un riflettore sotto il quale interpretare un ruolo che ci siamo scelti e attribuiti da soli? In un finale di stagione (e forse di serie) straordinario per intensità e livello di scrittura, Enlightened riflette, come sempre ha fatto, su se stesso, illuminandosi e illuminandoci, concludendo il suo racconto senza alcuna certezza ma lasciandoci molto su cui pensare.

Nessuna certezza dunque, nessun punto fermo. La serie non ne ha mai dati e non comincia certamente ora a farlo. Amy Jellicoe ha compiuto una parte del suo percorso (distruttivo o costruttivo? Felice o triste? Egoistico o Umanitario?) e lo ha fatto con assoluta coerenza con se stessa. Che ovviamente non vuol dire coerenza rispetto a ciò che viene ritenuto normale dalla società, dalla sua famiglia né tantomeno dai suoi capi di lavoro, ma soltanto coerenza con le sue personali regole di vita, con il suo approccio alla realtà, con la sua per certi versi "solipsistica" visione del mondo e di ciò che è giusto o sbagliato.

Da una serie che si esprime con un linguaggio così "adulto", nel senso che nulla viene mai detto espressamente ma moltissimo viene lasciato all'interpretazione dello spettatore, non ci si può attendere che una visione in chiaroscuro dei personaggi. Amy non è il bene, non è un'eroina così come la sua azienda non rappresenta il male assoluto. A cosa abbiamo assistito quindi? Ad un egoistico tentativo di imporre se stessa distruggendo tutto e tutti (compresa la stessa Amy, che non si cura completamente della propria incolumità), all'isteria di una donna miope che, troppo impegnata a curarsi dell'universale non riesce nemmeno a tenere le fila del proprio, piccolissimo universo?

Molto sembra farci propendere verso questa visione: c'è un bellissimo dialogo con la madre, nel quale quest'ultima – logicamente – si preoccupa subito delle conseguenze per Amy piuttosto che per il bene generale che ne dovrebbe scaturire. Ma c'è anche tutta la parentesi con Levi, archiviato come parte di un passato al quale Amy apparentemente non vorrebbe tornare presa com'è dalle aspettative per il futuro. E infine Tyler, che pur interagendo poco con la protagonista nelle ultime puntate è importante perché ne rappresenta il riflesso: una persona che antepone la propria felicità personale al grande piano. Tyler ha sbagliato o ha agito bene? E in fondo Amy fa quello che fa per spirito umanitario oppure perché sente che questo è il suo modo per giungere alla felicità personale?

Oppure no. Amy è il piccolo insetto – proprio così viene definita da uno dei dirigenti della Abaddon – che sfida il resto del formicaio, che si impone aldilà del ruolo che le viene assegnato, che vacilla, che ha ripensamenti ma che alla fine agisce seguendo i propri ideali affrontando le conseguenze (che bello il parallelismo del finale con la prima scena della prima puntata, quando Amy urlava alle porte di un'ascensore che si chiudevano, mentre ora è lei quella che serenamente se ne va mentre il suo capo la rincorre). E alla base di tutto questo c'è la consapevolezza di essere microscopica e che l'unica possibilità per lei di imporsi è quella di affrontare cose "più grandi di lei" come lei stessa le definisce, invece di chiudersi (quello sarebbe egoistico) nel proprio piccolo guscio e cercare solo la propria felicità. Questi gli spunti che la serie ci lancia, ognuno trarrà le proprie conclusioni, come nella vita vera del resto.

Tecnicamente lo show è stato fantastico, poggiato ampiamente sulle ottime interpretazioni di Laura Dern e Mark White, che di questo progetto sono artefici, sulla regia misurata, sulle felici scelte musicali a chiusura di ogni episodio, su una fotografia solare, "illuminata" che, coerentemente con il resto dello show, sembrerebbe inquadrare un certo tipo di storia (ma decisamente non stiamo parlando di una comedy) e invece ci racconta tutt'altro.

Ultima illuminazione: e se la vera missione di Amy, quella che ci è stata raccontata in questi due anni, fosse in realtà quella di riflettere la propria esperienza sugli altri, avere un impatto sui suoi amici e vicini, coinvolgerli e innescare un processo che li avrebbe portati alla loro personale illuminazione? Per Levi sembrerebbe proprio così, ma anche Tyler in fondo è riuscito a costruire qualcosa, e lo stesso Dougie è un personaggio molto diverso rispetto all'inizio. Il percorso continua, la vita è lunga, ma la conquista dell'illuminazione non è mai stata così vicina.

"Sometimes I think about someone else’s life. I imagine all the love they do not have, I see the passion that is missing, the friends they don’t know, and the awful pressures that crush them. In those moments, I realize how much I have and how much I have to give.."

Continua a leggere su BadTaste