End of watch - Tolleranza zero, la recensione
Non il solito poliziesco ma un viaggio manicheo dentro le vite di due poliziotti di Los Angeles. Peccato per la sfacciata morale, ma complimenti per le scelte stilistiche!
Fissatissimo con le storie di poliziotti di Los Angeles, capace di indagarne azioni, volontà, vita privata e confini della violenza, David Ayer voleva girare un found footage movie, categoria di film che solitamente è applicata al genere horror, anche se già Chronicle e (parzialmente) Project X hanno rotto la regola, e invece è finito a girare un ibrido di stili e tecniche diverse.
Passando dal suddetto materiale "found footage", a moltissime riprese in soggettiva, fino a normali riprese con macchina a mano, End of watch usa il digitale per cercare l'impressione di realtà, cioè una versione di film più aderente al "probabile". Per certi versi ci riesce, non fosse che la trama spinge molto più del solito sull'agiografico, il patriottico e il manicheo. Poliziotti buoni, criminali cattivi. Questa volta David Ayer non cerca certo i doppi giochi del noir e nemmeno il rigore secco del poliziesco dalla sceneggiatura precisa, quanto una specie di andamento semidocumentaristico, in cui le operazioni di polizia si susseguono una dopo l'altra, inframezzate da piccoli momenti di intimità domestica che hanno l'esplicito obiettivo di creare affezione verso i personaggi.
E' un esperimento molto strano e per certi versi forse nemmeno riuscito ma End of watch, al netto del suo buonismo e della sua trama, è innegabile che cerchi di fare il solito racconto battendo altre strade.