Encounter - il contatto, la recensione

Tra i continui cambi di registro non tutto torna, ma Encounter, disponibile su Prime Video, conserva comunque il suo impatto

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Il ritratto di una figura paterna ossessionata da una minaccia da cui vorrebbe proteggere i suoi cari, finendo però per metterli in pericolo; il viaggio che questi intraprende con il figlio in un territorio ostile, in una vicenda dai risvolti fantascientifici. In Encounter, ci sono echi del cinema di Jeff Nichols, tra Take Shelter e Midnight Special. Come questi, anche il film diretto da Michael Pearce (Beast) inserisce una storia privata e famigliare in un discorso sulla società statunitense attuale: funziona nel primo aspetto, meno nel secondo. Malik (Riz Ahmed) è un marine convinto che sia in corso un’invasione di microrganismi alieni, diffusi dagli insetti. Decide quindi di raggiungere i suoi due figli piccoli che vivono con la sua ex e il suo nuovo compagno per portarli via nella notte in una missione di salvataggio che diventa un lungo viaggio nel cuore dell’America.

Le prime scene ci immergono in un’angosciante atmosfera thriller, di cui viene evidenziata la matrice psicologica. Un asteroide cade sulla Terra e minacciosi insetti cominciano a penetrare sotto la pelle degli umani, mentre il protagonista è disteso sul letto in preda all’ansia. Tutto viene dunque ricondotto alla sua percezione: frequenti primi piani ci trasmettono l’asfissia da lui provata che di riflesso condiziona tutti gli altri personaggi. Ma senza poi assumere fino in fondo questa dimensione: capiamo da subito che si tratta di una sua paranoia; quando poi inizia il Road movie, il focus si concentra sulla relazione coi figli che si instaura nello stretto abitacolo della sua auto, sul suo desiderio come padre di finalmente passare del tempo con loro. La narrazione dunque ci depista, perché il suo cuore sta altrove.

Nelle sue affermazioni perentorie, quando racconta al figlio più grande le sue teorie, è Malik a fare la figura del bambino, eppure non viene mai messa in dubbio la sua integrità. Siamo portati a empatizzare con lui, a stare sempre dalla sua parte. La tensione così nasce dal capire fino a dove lui li condurrà, fino a che punto si potrà spingere, senza che ne emerga allo stesso tempo il ritratto di un mostro: anche le sue azioni più estreme sono dettate da un amore sincero. Nel fare leva sul versante affettivo, sulla dimensione reale che prevale su quella sovrannaturale, nell’ambiguità di fondo, sta la forza del film.

Tutti gli altri personaggi sono invece connotati come figure negative, in uno schematismo di fondo e in uno sguardo sulla società che non convince a pieno. La famiglia del protagonista, di chiara origine straniera, deve fare i conti con il cuore dell’America bianca e razzista, muovendosi in grandi spazi aperti, in un’ambientazione che diventa via via sempre più post-apocalittica, fino ad aridi deserti da ultima frontiera. Lì trovano locali che li aspettano col fucile in mano senza esitare a sparare e gli agenti dell’FBI che si mettono sulle loro tracce credendo che Malik sia intenzionato ad ammazzare i figli e poi a suicidarsi. Un incasellamento forzato, che lo riconduce a categorie standard. A loro si contrappone l’agente di custodia afroamericana interpretata da Octavia Spencer, l’unica che sembra comprenderne le ragioni: il suo personaggio però ha troppo poco spazio ed è solo abbozzato, superfluo se non appunto veicolo per rinforzare il discorso tematico.

Ma quest’ultimo resta in superficie, senza effettivo spessore, e il subplot dell’inseguimento tra le forze in gioco non coinvolge: nel prevedibile scioglimento, ancora una volta l’accento è posto sulle dinamiche famigliari, che però avevano trovato compimento nella scena precedente. In definitiva, tra i continui cambi di registro non tutto torna, ma Encounter conserva comunque il suo impatto.

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