Emoji - Accendi Le Emozioni, la recensione
La più risaputa delle parabole applicata nel contesto più originale, ma trattato nella maniera più ripetitiva e insignificante. La sinossi di Emoji.
Quella pigrizia di scrittura e tendenza a copiare il già esistente che riconosciamo nell’animazione commerciale tedesca o scandinava, applicata ad un grande film americano è un colpo insostenibile.
Emoji è sostanzialmente una copia di Ralph Spaccatutto. Presenta il mondo dentro i device elettronici, in cui i personaggi si muovono per fare in modo che all’esterno tutto funzioni, e ha un protagonista fallato, diverso dagli altri perché non funzionante e quindi emarginato come lì era Vanellope Von Schweetz, affetta da glitch. Per animare tutto lo fa viaggiare in lungo e in largo (incluse le zone proibite, che qui sono quelle crackate) come scusa per mostrare la costruzione di quell’universo, tutto quello che conosciamo e cosa fanno i marchi più noti “quando non li stiamo guardando”. Alla fine, proprio ciò che rende il protagonista diverso, sarà ciò che lo rende speciale e tutto il resto delle ovvietà che si possono immaginare senza niente che invece non si possa già prevedere.
Così piccola è la tensione narrativa, così basse le aspettative per il futuro dei personaggi (obiettivamente: che cosa mai gli potrà succedere?!) che non si può che pensare a che gran lavoro sia stato fatto per quell’altro viaggio in un mondo “interiore” : Inside Out. Lì erano ricreate le dinamiche più sentimentali e la metafora non era dei servizi a pagamento o gratuiti, ma degli alti e bassi della vita di ognuno, degli abissi dell’oblio e della morte degli amici immaginari. La metafora colorata, comica e pupazzosa serviva ad addentrarsi nelle dinamiche più complesse e difficili.