Emma e il giaguaro nero, la recensione

Rispondendo in pieno alla formula del cinema animalista dei de Maiste, Emma e il giaguaro nero cerca di accattivarsi i giovani attivisti

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Emma e il giaguaro nero, il nuovo film di Gilles e Prune de Maistre, in sala dal 22 febbraio

La coppia del cinema di amore animale è tornata. I de Maistre (Gilles de Maistre alla regia, Prune de Maistre alla sceneggiatura) dopo Mia e il leone bianco hanno replicato con Il lupo e il leone e ora tocca a Emma e il giaguaro nero. L’impianto è sempre lo stesso: c’è un animale feroce che è cresciuto e/o ha un legame speciale con una bambina e/o ragazza, ci sono degli uomini cattivi che vogliono catturarlo e/o ucciderlo, ci sono dei familiari prossimi (tipo padre o madre) che non capiscono e dei familiari o congiunti meno prossimi (zii, nonni o amici di famiglia) che invece aiutano la ragazza a correre rischi, immergersi nella natura e vivere a contatto con questo animale che è feroce con tutti tranne che con lei. Gran finale di primi piani, vedute naturali e animali in libertà.

Ora che lo sapete, la trama: Emma è una ragazza di città, attivista, animalista e sempre pronta a lottare per i diritti di qualsiasi animaletto, ragione per la quale si fa anche sospendere da scuola quando nella lezione di biologia bisogna sezionare una rana, in realtà è cresciuta nel cuore della foresta amazzonica ma il padre l’ha portata a vivere a New York dopo la morte della madre, e quando lei scopre che il giaguaro con il quale è cresciuta è cacciato dai bracconieri, intima al padre di tornare lì per aiutarlo senza successo. Decide allora di prendere un aereo di nascosto, visto che nessuno le dà ascolto. La seguirà una imbranata amante del padre e in loco troverà la sua famiglia indigena che la aiuterà a combattere i bracconieri (perché evidentemente avevano bisogno di una bambina di città per farlo).

È come al solito favolismo a costo molto basso e tasso molto alto di colonialismo ecologista. Il target è il tipo di attivismo giovanile da Fridays for Future e per colpire quegli spettatori i de Maistre non esitano a rappresentare una donna bianca di città che fa una lezione agli indigeni locali sull’importanza della preservazione della foresta. Momento in cui anche loro rimarranno a bocca aperta per cotanta coscienza ecologica, mentre è possibile sentire sia il loro animo convertirsi per le parole di questa bianca di un altro paese, sia il sangue di reali indigenti ribollire.

A Emma e il giaguaro nero però manca anche quello che invece è sempre stato l’elemento vincente dei film dei de Maistre (per il resto eseguiti con una povertà che sta prima nelle idee e solo poi nei portafogli), cioè la capacità di riprendere davvero animali grossi e feroci come teneri amici degli umani, trovando una chiave per il cuore del pubblico animalista a metà tra il desiderio irrealizzabile di trattare un felino gigante come un gatto e la materializzazione di ciò che davvero pensano, che uomini e animali possono conivere amabilmente. Ovviamente le scene tra la ragazza e il giaguaro, anche inversione cuccioli (sia l’umana che la bestia) ci sono, ma non c’è lo stesso respiro incredibile di Mia e il leone bianco, non c’è quella comunione che suona reale e quell’impresa filmica di mostrare qualcosa che pare impossibile.

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