Emily in Paris (stagione 3), la recensione

La stagione 3 di Emily in Paris convince con la sua leggerezza e gli elementi rom-com, ecco la nostra recensione del ritorno della serie

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La recensione della stagione 3 di Emily in Paris, la serie con Lilly Collins prodotta per Netflix, disponibile in streaming dal 21 dicembre

Emily in Paris, arrivata alla stagione 3, sembra finalmente aver trovato il modo di lasciarsi alle spalle il confronto sopra le righe tra diversi stili di vita e culture per offrire un ritratto leggero, ma a tratti più realistico rispetto alle puntate precedenti, di chi sta cercando il proprio posto nel mondo.
Nonostante non tutti gli elementi narrativi funzionino nel migliore dei modi, la serie prodotta da Darren Star trova un approccio più maturo alle disavventure della giovane protagonista declinando in vari modi il tema della conseguenze delle scelte compiute nella vita, sfruttando le diverse fasi dell'esistenza in cui si trovano i vari personaggi.

La trama della stagione 3 di Emily in Paris

La storia riprende con Emily Cooper (Lily Collins) che deve decidere se andare a lavorare per la nuova agenzia pubblicitaria di Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu) o rimanere fedele a Madeline (Kate Walsh). L'affetto e il rispetto che prova nei confronti della donna che l'ha aiutata a compiere i primi passi nel mondo del lavoro la mettono in difficoltà e la giovane prova, almeno inizialmente, a lavorare per entrambe in attesa di trovare il momento giusto per comunicare la propria decisione, ma non tutto andrà come sperava.
Emily, nella vita privata, deve intanto fare i conti con la scelta presa da Gabriel (Lucas Bravo), che ora convive con Camille (Camille Razat), situazione che la spinge a dedicarsi totalmente alla relazione con Alfie (Lucien Laviscount).
La sua amica Mindy (Ashley Park), invece, potrebbe realizzare un suo sogno e ottenere un prestigioso ingaggio come cantante, ma è frenata dal desiderio di non ferire i sentimenti del suo nuovo fidanzato.

Crisi di identità in salsa fashion

Fin dai primi minuti della terza stagione si capisce che gli sceneggiatori hanno deciso di puntare tutte le loro carte sulla fase di passaggio che ogni persona affronta almeno una volta nella vita, offrendo alla questione un approccio leggero e molto fashion.
Il personaggio affidato a Lily Collins è infatti alle prese con crisi piccole e grandi legate alle possibili conseguenze delle proprie scelte, dalle persone con cui lavorare al tempo da dedicare alla propria vita privata a scapito degli impegni professionali, ma ogni momento è affrontato con uno stile impeccabile e con un atteggiamento quasi fastidiosamente ingenuo che la fanno sembrare più vicina ad Alice nel paese delle meraviglie che al Diavolo veste Prada.


Pur muovendosi in un mondo all'insegna di concorrenza a volte sleale, contrattempi, clienti da soddisfare e problemi sentimentali, Emily sembra ancora incapace di rendersi conto dell'impossibilità di essere amica di tutti. La sua determinazione nel mantenere un rapporto di amicizia con Camille e Gabriel, seppur animata da buone intenzioni, appare fin da subito destinata ad avere un impatto sul rapporto con Alfie, mentre la mancanza di filtri sul lavoro non aiuta a creare un clima particolarmente sereno tra colleghi. Lily Collins è ormai totalmente a suo agio nell'interpretare la giovane di Chicago che ha iniziato una nuova vita a Parigi e l'attrice sa muoversi con grazia tra outfit assolutamente improbabili a viaggi nella campagna francese, provando a rendere credibili anche intere sequenze costruite intorno a un product placement talmente evidente da chiedersi se si siano ideati episodi interi come spot di marche come McDonald's o McLaren.
I momenti migliori rimangono però quelli in cui Emily, in perfetto stile rom-com, si ritrova alle prese con i suoi sentimenti nei confronti dell'affascinante chef Gabriel, determinato a realizzare i suoi sogni professionali e privati, o del deciso Alfie, non aiutata dall'amicizia che si è formata tra i due o dalla sua decisione di aiutare l'"amico" a ottenere successo con il suo ristorante. Per chi è alla ricerca di un intrattenimento leggero e senza impegno, Emily in Paris riesce a mantenere l'attenzione proprio con questo elemento portante della trama, sviluppando in maniera credibile il rapporto tra i vari personaggi fino a un'inevitabile cliffhanger finale.

Una storia in fase di evoluzione verso la maturità

Nascosta sotto l'enorme quantità di abiti all'ultima moda, che lasciano sempre il dubbio riguardante la grandezza dell'armadio di Emily e la fonte di un reddito così elevato, e inquadrature da cartolina di Parigi, la terza stagione riesce a sviluppare in modo interessante la tematica del tentativo di trovare il proprio posto nel mondo. Ogni personaggio - da Sylvie che inizia una nuova sfida professionale e ha una vita privata piuttosto complicata, ad Alfie che accetta un nuovo lavoro, senza dimenticare Mindy che prova a coltivare la sua carriera come cantante o Gabriel che punta a ottenere una stella Michelin e a trovare un equilibrio molto agognato - cerca a suo modo di prendere le decisioni giuste per proseguire il proprio percorso verso la realizzazione di obiettivi personali che dovrebbero assicurare felicità e tranquillità. Gli ostacoli, ovviamente, sono di ogni tipo, ma la comedy sa tratteggiare con efficacia le varie tappe di un'evoluzione necessaria per dare nuova linfa a una serie che rischierebbe di crollare sotto il peso dei cliché e della prevedibilità.

Gli sceneggiatori sembrano però in difficoltà nel costruire i personaggi che circondano Emily, Gabriel e Alfie. Mindy, in questa terza stagione, diventa sempre più eccessiva in quanto a comportamento e presenza scenica, Madeline perde totalmente la sua immagine di donna in carriera di successo scivolando nell'immagine stereotipata di neo-madre in crisi, la vita privata di Sylvie si evolve con una rapidità quasi incomprensibile, le vicissitudini sul lavoro con al centro Pierre Cadault (Jean-Christophe Bouvet) e relativi rivali sono portate ovviamente all'estremo, e i rapporti sul lavoro con Julian (Samuel Arnold) e Luc (Bruno Gouery) sono all'insegna della superficialità e dell'approssimazione.
A funzionare, senza alcun dubbio, è il feeling che si è ormai stabilito tra Collins e Bravo, coinvolgente nonostante la rappresentazione di un'amicizia credibile quanto l'immagine così turistica e senza macchia di Parigi, città che assume contorni quasi da favola ma non sembra mai un luogo reale a causa dell'eccessiva enfatizzazione dei suoi lati romantici e affascinanti.
Emily, con i suoi abiti all'ultima moda e scarpe importabili da qualsiasi essere umano nella vita quotidiana, sembra destinata a non fare mai i conti con problemi quotidiani realistici, ma questo approccio edulcorato e distante dalla realtà ha già portato al successo lo show nelle prime due stagioni, riuscendo a offrire una via di fuga ai drammi che hanno contraddistinto gli anni pandemici.
Con un po' più di maturità rispetto al passato e gli stessi eccessi stilistici e visivi, la terza stagione di Emily in Paris non deluderà i fan, pur continuando a lasciare insoddisfatto chi spera nella realizzazione di comedy in grado di offrire un approccio originale e intelligente alle vicissitudini raccontate sul piccolo schermo.

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