Emily, la recensione

#Emily non è, infatti, un film sulla scrittura ma uno sulla vita come ispirazione per l’arte, un racconto in forma romantica di come l’amore di Emily Brontë per un uomo l’abbia portata a scrivere il suo famoso romanzo.

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La recensione di Emily, al cinema dal 15 giugno

Da un biopic su Emily Brontë, scrittrice di Cime tempestose, ci si aspetterebbe quantomeno un certo interesse per la vocazione letteraria del personaggio: di vederla “all’opera”, di capire come questa abbia vissuto la scrittura. Frances O’Connor, regista e sceneggiatrice, decide invece di andare “a ritroso”: Emily non è, infatti, un film sulla scrittura ma uno sulla vita come ispirazione per l’arte, un racconto in forma (estremamente) romantica di come l’amore di Emily Brontë per un uomo l’abbia portata a scrivere il suo famoso romanzo.

Si tratta di una scelta narrativa che prende tutto il rischio della possibile delusione delle aspettative e che difatti, per quanto il film abbia in sé scene di grande qualità cinematografica, lo fa sentire come incompleto; deludente per come fallisce nell’unire l’idea di Brontë scrittrice (totalmente assente, se non con due righe di poesie ogni tanto) con quella di Brontë persona. Un vero peccato, dato che se si mette da parte l’esigenza di comprendere il carattere di un’aspirazione letteraria (filologica o inventata che sia!), Emily è invece in tutto e per tutto un ottimo film romantico.

Siamo nella campagna dello Yorkshire di metà Ottocento, Emily è figlia di un pastore protestante, minore di quattro figli (le due sorelle Charlotte e Anne e il fratello attaccabrighe Branwell), orfana di madre. In paese la chiamano “la strana”, il padre la vorrebbe insegnante come Charlotte, ma diversamente dalla sorella non è disposta a rinunciare alla scrittura pur di compiacerlo. Da timorata e insicura, con l’arrivo del nuovo curato William Wieghtman (Oliver Jackson-Cohen) Emily si mette sul piede di guerra, salvo poi cadere per un amore irrazionale e pieno quanto può esserlo il primo.

Il film volge il suo interesse alla relazione tra desiderio e curiosità (romantica, sessuale, identitaria) e tra fede e obbedienza (a un concetto superiore, che sia la famiglia o un credo religioso). Questi aspetti vengono fuori soprattutto per come evolve il personaggio di Emily, il fatto che li affronti nel corso del tempo mutando la sua opnione. Insomma il film funziona nel suo essere un coming of age e lo fa soprattutto grazie a una buona scrittura e all’espressività di Emma Mackey - sognatrice, ingenua e fragile nel privato quanto spigliata e arrogante sulle grandi questioni.

Per quanto Frances O’Connor perda la mano sui tempi e sul focus narrativo, Emily ha in sé delle scene bellissime, funziona molto per immagini (e nella loro relazione col montaggio sonoro). Il cuore della regia di O’Connor batte per l’evocazione della poesia nelle immagini naturali: la pioggia, il vento, un paesaggio familiare. Elementi che ritornano e che cambiano di segno nel corso del tempo, memorandum concreti dove vita e ispirazione si incontrano alla velocità di uno sguardo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Emily? Scrivetelo nei commenti!

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