Emily, la recensione
#Emily non è, infatti, un film sulla scrittura ma uno sulla vita come ispirazione per l’arte, un racconto in forma romantica di come l’amore di Emily Brontë per un uomo l’abbia portata a scrivere il suo famoso romanzo.
La recensione di Emily, al cinema dal 15 giugno
Si tratta di una scelta narrativa che prende tutto il rischio della possibile delusione delle aspettative e che difatti, per quanto il film abbia in sé scene di grande qualità cinematografica, lo fa sentire come incompleto; deludente per come fallisce nell’unire l’idea di Brontë scrittrice (totalmente assente, se non con due righe di poesie ogni tanto) con quella di Brontë persona. Un vero peccato, dato che se si mette da parte l’esigenza di comprendere il carattere di un’aspirazione letteraria (filologica o inventata che sia!), Emily è invece in tutto e per tutto un ottimo film romantico.
Il film volge il suo interesse alla relazione tra desiderio e curiosità (romantica, sessuale, identitaria) e tra fede e obbedienza (a un concetto superiore, che sia la famiglia o un credo religioso). Questi aspetti vengono fuori soprattutto per come evolve il personaggio di Emily, il fatto che li affronti nel corso del tempo mutando la sua opnione. Insomma il film funziona nel suo essere un coming of age e lo fa soprattutto grazie a una buona scrittura e all’espressività di Emma Mackey - sognatrice, ingenua e fragile nel privato quanto spigliata e arrogante sulle grandi questioni.
Per quanto Frances O’Connor perda la mano sui tempi e sul focus narrativo, Emily ha in sé delle scene bellissime, funziona molto per immagini (e nella loro relazione col montaggio sonoro). Il cuore della regia di O’Connor batte per l’evocazione della poesia nelle immagini naturali: la pioggia, il vento, un paesaggio familiare. Elementi che ritornano e che cambiano di segno nel corso del tempo, memorandum concreti dove vita e ispirazione si incontrano alla velocità di uno sguardo.
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