Emilia Perez, la recensione I Cannes 77

Le traiettorie del cinema di Audiard, nella forma inedita di commedia musicale, in Emilia Perez diventano veicolo per un'appassionante storia di rivalsa

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La nostra recensione di Emila Perez, nuovo film di Jacques Audiard presentato in concorso al Festival di Cannes 2024

Emila Perez prosegue e allo stesso tempo rinnova le traiettorie del cinema di Jacques Audiard. Il cineasta francese, grande narratore di emarginati e di criminali, qui racconta la storia di un boss del cartello messicano, Manitas, che chiede a un'avvocatessa di successo (Zoe Saldana) di aiutarlo a cambiare sesso, per diventare la donna che ha sempre sognato.

La questione dell'identità di genere, già presente nel precedente Les Olympiades viene messa in scena attraverso il musical e la commedia, che stempera a sorpresa l'elemento crime. La prima dimensione è perfettamente in linea con la poetica del regista, spesso correlata al ballo e alla musica elettronica, mentre in Emilia Perez sono gli stessi personaggi a lanciarsi in performance canore con testi significativi, mentre chi gli sta attorno fa da coreografia. La seconda, invece, caratterizzava già I fratelli Sisters, ma qui è una forma completamente diversa. Per poter effettuare l'operazione, il protagonista deve abbandonare la moglie (Selena Gomez) e i figli in Svizzera, facendogli credere di essere morto. Anni dopo, ricontatta Rita desideroso di riabbracciare la propria famiglia, presentandosi come una zia, Emilia Perez appunto, e andando a vivere con loro. La situazione che si crea dà adito dunque a equivoci e fraintendimenti, una sorta di Mrs. Doubtfire dove però stavolta il cambio di sesso è reale. Ne emerge un racconto per lunghi tratti tenero e solare, tra momenti intimi coi bambini e domande scomode, che contrasta con la durezza tipica del regista. Seguirà un'attività di redenzione dell'ex boss, in aiuto a chi è stato vittima della malavita. Anche in questo frangente non viene meno il tocco leggero, fino a uno showdown finale più drammatico ma non disperato.

Cosa non cambia è l'attenzione di Audiard ai personaggi e alla loro interiorità prima che al tema della storia, la capacità di usare il genere per portare avanti il proprio discorso. Manitas confessa il suo bisogno di diventare donna e, una volta compiuta la transizione, le sue difficoltà nell'accettarsi. La stessa avvocatessa è un donna nera che si deve scontare contro la società maschilista e trova in Emilia una spinta per combatterla e fare del bene. Le canzoni sono piene di frasi-manifesto come "cambiare il corpo vuol dire cambiare la società" o "mi sento una metà di tutto". Il modo con cui vengono messe in scena, tra coreografie vertiginose e vicinanza ai personaggi, sfugge però i limiti dell'opera a tesi. Sì, Emilia Parez è un racconto di lotta contro gli stereotipi e le ingiustizie, ma è anche un film dove il regista presenta scene in discoteca apparentemente superflue ma in verità molto pregnanti, in cui basta un gioco di sguardi tra due donne o un karaoke di Selena Gomez per dire tutto quello che provano. Corpi fragili, identità fragili che esplodono sullo schermo.

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