Emerald City 1x01 e 1x02: la recensione
I primi due episodi di Emerald City non convincono, pasticciando una rivisitazione dark che manca di mordente emozionale e di verosimiglianza interna
Benché non sia stato concepito come remake del film di Fleming, né come trasposizione fedele del romanzo di Baum, Emerald City strizza l'occhio da subito ai simboli fondamentali del regno di Oz: dallo spaventapasseri, nella prima inquadratura del pilot, all'arcobaleno, che compare poco dopo a decorazione di una finestra della casa dove Dorothy (Adria Arjona), infermiera ventenne, vive con i genitori adottivi, Jack ed Em. Ciò che segue, tuttavia, pare voler allontanarci dal territorio narrativo a noi familiare, spingendolo in una direzione intrisa di sangue: quella che sembrerebbe essere la madre biologica di Dorothy, Karen, viene trovata agonizzante dalla ragazza in un rifugio anticiclone, a poca distanza dal cadavere di un poliziotto. Tuttavia, il mistero non trova risoluzione, almeno per ora, perché un tornado provvede a scagliare la protagonista, rifugiatasi nell'automobile del defunto agente, proprio nel regno di Oz. Con l'unica compagnia del cane lupo presente nella volante, Dorothy inizia l'esplorazione di un mondo a lei ostile sin da subito, che non mancherà di colpirla con i suoi misteri circonfusi di violenza.
Laddove Game of Thrones ci ha inizialmente spiazzati, offrendoci un fantasy atipico in cui l'elemento magico era relegato a sporadiche comparsate, il più delle volte connotate negativamente, Emerald City sembra voler tentare una strada affine, in cui la magia è strumento di tortura e prigionia o, comunque, foriera di sofferenza (lo spaventapasseri Lucas, la moglie di Ojo o il piccolo Tip sono solo tre fra le vittime). Ciò in cui, purtroppo, la serie NBC risulta terribilmente carente rispetto al modello sopra citato, è proprio la costruzione di personaggi accattivanti e calati in un contesto credibile e coerente: se la prima parte, in cui Dorothy si scontra con una tribù primitiva, offre allo spettatore una dose di verosimiglianza necessaria a giustificare le ambizioni di riscrittura di Arnold e Friedman, il resto della storia si articola attraverso passaggi fin troppo confusi e incontri per lo più macchinosi, che appesantiscono la trama senza tuttavia creare mordente emozionale.