Emerald City 1x01 e 1x02: la recensione

I primi due episodi di Emerald City non convincono, pasticciando una rivisitazione dark che manca di mordente emozionale e di verosimiglianza interna

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Somewhere, over the rainbow, c'erano le buone intenzioni di Tarsem Singh, regista di professione, esteta per vocazione, messo alla regia di Emerald City, rivisitazione in chiave dark dell'amato Mago di Oz di Baum. Dopo il capolavoro del 1939, firmato da Victor Fleming, la storia della giovane Dorothy e del suo avventuroso viaggio dal Kansas alla fantastica Città di Smeraldo avevano già subito un restyling televisivo relativamente recente: è del 2007 la miniserie Ritorno al mondo di Oz (titolo originale: Tin Man), in cui a calarsi nei panni dell'improvvisata eroina era Zooey Deschanel. Nulla di accostabile, tuttavia, alle tinte oscure e sanguinose del presente adattamento targato NBC, che vede Matthew Arnold (Siberia) e Josh Friedman (La Guerra dei MondiAvatar 2) al timone del revival.

Benché non sia stato concepito come remake del film di Fleming, né come trasposizione fedele del romanzo di Baum, Emerald City strizza l'occhio da subito ai simboli fondamentali del regno di Oz: dallo spaventapasseri, nella prima inquadratura del pilot, all'arcobaleno, che compare poco dopo a decorazione di una finestra della casa dove Dorothy (Adria Arjona), infermiera ventenne, vive con i genitori adottivi, Jack ed Em. Ciò che segue, tuttavia, pare voler allontanarci dal territorio narrativo a noi familiare, spingendolo in una direzione intrisa di sangue: quella che sembrerebbe essere la madre biologica di Dorothy, Karen, viene trovata agonizzante dalla ragazza in un rifugio anticiclone, a poca distanza dal cadavere di un poliziotto. Tuttavia, il mistero non trova risoluzione, almeno per ora, perché un tornado provvede a scagliare la protagonista, rifugiatasi nell'automobile del defunto agente, proprio nel regno di Oz. Con l'unica compagnia del cane lupo presente nella volante, Dorothy inizia l'esplorazione di un mondo a lei ostile sin da subito, che non mancherà di colpirla con i suoi misteri circonfusi di violenza.

Le buone intenzioni visive di Tarsem si scontrano contro il muro di una sceneggiatura pasticciata, che vorrebbe modernizzare il materiale d'origine per poterlo avvicinare, presumibilmente, alle nuove generazioni: tuttavia, la trattazione superficiale - se non rozza - della psicologia della protagonista impedisce un'immedesimazione anche solo parziale. Cosa sappiamo di Dorothy? Poco o nulla. A peggiorare il tutto, vi è una pressoché totale assenza di magia, sia in senso stretto - il Mago, interpretato da Vincent D'Onofrio, viene immediatamente connotato come ciarlatano che ha voluto abolire ogni sortilegio dal mondo di Oz per assicurare alla scienza l'egemonia assoluta - che in senso lato: i nostri occhi vagano alla ricerca di un motivo d'incanto che vada oltre le pur apprezzabili scelte scenografiche operate nei primi due episodi, ma che affondi radici nella sfera sentimentale più che in quella visiva.

Laddove Game of Thrones ci ha inizialmente spiazzati, offrendoci un fantasy atipico in cui l'elemento magico era relegato a sporadiche comparsate, il più delle volte connotate negativamente, Emerald City sembra voler tentare una strada affine, in cui la magia è strumento di tortura e prigionia o, comunque, foriera di sofferenza (lo spaventapasseri Lucas, la moglie di Ojo o il piccolo Tip sono solo tre fra le vittime). Ciò in cui, purtroppo, la serie NBC risulta terribilmente carente rispetto al modello sopra citato, è proprio la costruzione di personaggi accattivanti e calati in un contesto credibile e coerente: se la prima parte, in cui Dorothy si scontra con una tribù primitiva, offre allo spettatore una dose di verosimiglianza necessaria a giustificare le ambizioni di riscrittura di Arnold e Friedman, il resto della storia si articola attraverso passaggi fin troppo confusi e incontri per lo più macchinosi, che appesantiscono la trama senza tuttavia creare mordente emozionale.

È ancora presto per poter giudicare Emerald City una brutta serie; possiamo però dire che, come partenza, lascia a desiderare sotto troppi punti di vista per non auspicare una rapida ripresa di tono nelle prossime puntate, onde evitare al pubblico il desiderio di perdersi nel polline giallo come successo ai due protagonisti Dorothy e Lucas, già in odor di love story. Forse è solo questione di pazienza ma, ora come ora, non possiamo nascondere una certa perplessità di fronte a un prodotto che aveva, per budget e cast, le carte in regola per sbalordirci e incantarci sin dalle prime battute.

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