Emancipation - Oltre la libertà, la recensione
Emancipation ha due intenzioni opposte in scena contemporaneamente: fare un film da Oscar per Will Smith e uno di azione per Antoine Fuqua
È come la pizza all’ananas. Due pietanze che singolarmente sono deliziose. Messe insieme non sommano il loro gusto, semmai lo rovinano. Mettiamola così: Antoine Fuqua vuole mangiare l’ananas, un sapore forte, Will Smith la pizza. Un problema che Emancipation - Oltre la libertà si trascina dolorosamente dall'inizio alla fine senza mai arrivare a un'armonia tra le due parti.
Girato prima che il mondo crollasse addosso a Will Smith, Emancipation dimostra sin da subito di essere un film profondamente manipolato dall’attore che, ovviamente, figura anche come produttore. Tutto è costruito attorno a lui. Fuqua gli concede generosi, eppure fuori luogo, primi piani enfatici. Il bianco e nero manca di un vero pensiero visivo in quel formato, tanto che appare come un semplice filtro desaturante. È però finalizzato a nobilitare lo straziante percorso emotivo di quest’uomo. A dare quella patina di ricercatezza in un film che invece è di grana grossa. Peter parla proprio come Will Smith nei suoi discorsi pubblici, citando Dio ad ogni piè sospinto, osservando con aria di santificato distacco le cose terrene. Dovremmo ammirarlo, sentirlo vicino ma, nonostante tutti i ricatti possibili, non ce la si fa.
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Nello stesso Emancipation - Oltre la libertà c’è anche il film di Antoine Fuqua. Ovvero un action duro e puro, un’opera sulla sopravvivenza e sulla sofferenza. Abbandonati i grandi momenti da Academy Award, si tramuta in un’opera di intrattenimento anche piuttosto appassionante, seppure a sobbalzi. Nascosti nella palude, cosparsi di aglio per confondere i cani, i fuggitivi si trovano infiniti pericoli nel loro percorso. Gli schiavisti alle spalle sono ciò che li spinge ad andare avanti. Devono così nuotare in acque popolate da coccodrilli, sopravvivere ai serpenti, cauterizzarsi le ferite, trovare da mangiare e armarsi per sconfiggere il nemico. In certi momenti Emancipation diventa più simile a Predator che a 12 anni schiavo. Ed è un bene.
Nessuna delle due anime è però in grado di reggere un tempo troppo lungo per un materiale così esile. Arrivati alla fine, increduli, si deve constatare che l’intera operazione ha perso proprio l’idea che la rendeva efficace. Ovvero lo scatto della fotografia, relegata a pochi minuti e qualche didascalia. Il cuore di un film che ci si è dimenticati di alimentare. Quanti Emancipation esistono di già, quante volte il cinema ha proposto simili eroi reali come profeti leggendari contro altri crudeli e senza rimorso alcuno!
Di film su immagini che cambiano le sorti della guerra insieme alle opinioni della gente, che raccontano immediatamente ciò che in una civiltà ancora immatura avrebbe richiesto incredibili sforzi per essere provato, ce ne sono invece pochi. Così la vera fotografia della schiena di Peter il fustigato parla ben più chiaro. Basta una ricerca online per provare la stessa angoscia che il film cerca invano di ricreare in due ore e un quarto di cinema.
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