Ema, la recensione | Venezia 76
Sghembo strano e popolato di persone sfuggenti e particolari, Ema è un capolavoro fuori dall'ordinario, mai perfetto sempre sorprendente
E come dice il titolo tra i due è Ema la protagonista, il suo volto strano, particolare e fuori dai canoni apre benissimo il film, Larrain è innamorato di questo fisico nervoso e questo volto spigoloso, strano per una storia strana. Perché Ema e il suo fidanzato si lasciano dopo aver fatto qualcosa, qualcosa che nessuno intorno a loro gli perdona che gli sta peggiorando la vita e che anche agli occhi degli spettatori suona brutto e fastidioso. Loro stessi usano questo evento per accusarsi a vicenda in litigate terribili.
Ema esplora tramite il desiderio di tornare indietro su una decisione brutta e spiacevole un carattere liberissimo, che di certo si divincola subito dai paletti dei personaggi soliti del cinema ma poi si divincola anche dai soliti caratteri che conosciamo. Ema vuole essere libera e il film la asseconda, trovando momenti di ironia quando non si direbbe mai, riuscendo a trovare uno svolgimento così anticonvenzionale e delle immagini di street culture, di lanciafiamme e bande di donne a caccia di uomini (e donne). Riesce ad affiancare in maniere illogiche ma significative sesso, personalità, ballo, musica e questo volto e questo fisico di Mariana Di Girolamo che fanno la partita. Non parla mai di femminismo, non parla mai di #metoo ma è il film più onestamente incuriosito dalle donne che gestiscono il potere del proprio corpo.