El nido, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2021
Il regista italiano Mattia Temponi compie il suo esordio alla guida di un lungometraggio con El Nido, progetto sostenuto da un'intensa interpretazione di Blu Yoshimi
L'esordiente Mattia Temponi, nel 2015, ha ideato la storia di El nido, ora tristemente con più di un punto in contatto con la realtà, in cui si ritrae un'umanità costretta a rifugiarsi in luoghi sicuri e a rimanere in quarantena per evitare un contagio che trasforma gli esseri viventi in creature violente e aggressive quasi in stile zombie. Ad affrontare questa situazione complicata ed emotivamente impegnativa sono due sconosciuti che si ritrovano a convivere in un "nido": la giovane Sara (Blu Yoshimi) è stata infatti morsa da una persona infetta mentre fuggiva uscendo da scuola, e a prendersi cura di lei è un volontario, Ivan (Luciano Cáceres) che decide di non seguire i protocolli che lo obbligherebbero a porre fine alla vita della ragazza, curandola e controllandone le varie fasi della trasformazione. Sara, dopo l'iniziale disperazione, inizia a comunicare con Ivan, stabilendo con lui un rapporto di fiducia e amicizia che fa emergere elementi personali delle rispettive vite che contribuiscono a creare un legame inaspettato tra i due protagonisti. Mentre Sara lotta per rimanere "umana", il ritorno nel mondo esterno e a una vita normale sembra però ancora lontano.
L'elemento horror, dopo l'incipit in stile George A. Romero e The Walking Dead, rimane limitato per quasi tutto il film alla trasformazione subita da Sara, il cui corpo mostra i segni dell'infezione, lasciando invece spazio all'approfondimento psicologico delle conseguenze della situazione e i tentativi di appigliarsi in tutti i modi alla propria umanità tramite gesti semplici come pasti da preparare e consumare insieme, ricordi in grado di mantenere un contatto con il proprio passato e un mantra per evitare che la malattia definisca la propria esistenza.
La sceneggiatura firmata da Temponi, Gabriele Gallo e Mattia Puleo riesce a delineare una figura femminile complessa e interessante che fa emergere la propria forza interiore soprattutto nell'atto conclusivo in cui quello in cui crede viene messo in discussione, obbligandola a prendere delle decisioni importanti che potrebbero decidere il suo futuro. Nonostante sia l'unica presenza femminile all'interno della storia e il film sulla carta potrebbe non sembrare particolarmente in linea con una tematica femminista, la storia Sara riesce a incarnare bene le difficoltà affrontate dalle donne all'interno di una società in cui vengono ancora troppo spesso considerate qualcuno da salvare e usare a proprio piacimento, quasi come se fossero oggetti di proprietà.
La fotografia di Stefano Paradiso regala al film un'atmosfera ben equilibrata tra momenti più luminosi all'insegna della condivisione e i passaggi più oscuri e drammatici, e il regista gestisce bene lo spazio limitato del nido creando un microcosmo in cui i protagonisti vivono ritagliandosi i propri spazi. Con l'azione mantenuta al minimo, Mattia Temponi trova un suo approccio personale ai topoi del genere horror con un film di buon livello che coinvolge lo spettatore esplorando gli effetti sulla mente di una realtà incerta e spaventosa, conducendo a un epilogo un po' troppo retorico, ma significativo.