El Hoyo en la Cerca, la recensione | Venezia 78

El Hoyo en la Cerca parla della mano degli adulti di oggi nella violenza di domani. Una scuola cattolica addestra l'élite del futuro

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Ad ogni Mostra del Cinema di Venezia c’è un film come El Hoyo en la Cerca (traducibile come Il buco nel recinto). Appartiene a un sottogenere che potremmo definire scolastico inquietante, quasi horror, come lo era L'ultima ora o Giants Being Lonely (con tratti più adolescenziali) sempre presentati al Lido.

El Hoyo en la Cerca si svolge in un campeggio estivo in una campagna non meglio definita del Messico. Inizia come un idillio - ovviamente -. Degli uccellini, liberi, volano verso le montagne lontane. All’orizzonte si avvicina l’autobus contenente un carico di ragazzi della scuola secondaria. Il clima è disteso, tanto che i giovani intonano cori al loro professore preferito. In poco però intuiamo che qualcosa non va.

Il severo direttore dà poche regole, ma precise: c’è un recinto introno alla proprietà e non va mai valicato. La popolazione che vive a qualche chilometro di distanza non va disturbata. Sono indigeni, violenti, poveri, disperati e costituiscono un grave pericolo alla sicurezza. Ma non c’è nulla da temere, perché la tenuta è protetta e costantemente sorvegliata (da chi, non si capirà mai con certezza). Un buco, trovato all’interno di questo recinto, acuirà le tensioni tra i ragazzi. 

Ma chi sono questi studenti, che vengono coinvolti in intense sessioni di preghiera e curati con apparente affetto? Lo scopriamo nella prima svolta del film, essenziale per capirne la natura polemica e la forza. Sono i figli dei potenti, politici, imprenditori, una classe dirigente che affida alla scuola cattolica la propria discendenza. Il denaro si tocca con la religione, per l’autoconservazione di entrambi. La scuola migliore, quella più militaresca, è a disposizione dell’élite. Come un circolo segreto, l'1% che domina il mondo secondo logiche opposte a quelle umane. 

La didattica è quindi modificata, così come i valori cristiani ribaltati. “Capite qual è l’insegnamento?” dice un insegnante traendo la morale di una agghiacciante storia di vita raccontata agli studenti, “fare il proprio interesse e quello dei propri amici è la via più sicura, l’altruismo è un pericolo”. Il mantra di chi deve dominare, non di chi deve essere cittadino. Nasce così una continua lotta di potere all’interno della comunità, sempre repressa con toni bonari a parole dai professori e dai preti, ma stimolata con giochi, scherzi e test. Uno contro l’altro i bambini si lasciano andare ai più terribili atti di violenza e bullismo.

È qui che El Hoyo en la Cerca raggiunge la sua ragione d’essere. È il momento in cui riesce veramente ad essere caricatura spaventosa di dinamiche realmente esistenti nei gruppi, soprattutto in quelli esclusivi e privati. Si usa la religione come contorno morale che giustifica i peggiori soprusi. Il classismo non è mai esplicitato, non si dice “voi siete la classe dirigente e siete qui per imparare a vincere”, ma è interiorizzato dagli studenti.

Quando arriva inevitabile il contatto con il resto della popolazione, l’inversione morale sfocia nell’horror. Vestiti come spettri i bambini cercano un loro compagno scomparso entrando nelle case come picchiatori. Catturano una loro coetanea del villaggio vicino, povera, e la seppelliscono per terra lasciandole solo il capo fuori. Se ne dimenticheranno dopo averle messo un secchio in testa. Inneggiano a Satana, e gridano salmi, si sfogano. È molto simile in questo a una sorta di The Purge - La notte del giudizio in chiave intellettualoide e autoriale. 

Chi controlla i controllori diventa in El Hoyo en la Cerca “chi dirige i dirigenti?”. Non c’è autorità che tenga nel formare chi deve diventare l’autorità del futuro. Il regime militaresco cede e per stare in piedi non può fare altro che incatenare e violentare. El Hoyo en la Cerca sarebbe un gran film di denuncia, se non si perdesse lungo la strada intessendo troppe suggestioni e poca trama. È un classico di questi film lasciare molto in sospeso, per permettere a chi guarda di tirare le proprie conclusioni, di collegare i fili. Eppure qui il non detto si fa confusione.

Un’ambiguità che mina parzialmente la forza dell’orrore, nonostante sia agghiacciante vedere attori bambini ricreare scene di una tale portata. La deformazione della realtà invece funziona grazie alla capacità degli attori adulti di mimare atteggiamenti ricorrenti, non solo negli ambiti cattolici, ma anche nel mondo scolastico - anche in quello meno ambizioso -. 

C’è la mano degli adulti di oggi nella violenza di domani. E questo resta un’idea sia di scrittura che visiva che riesce a sedimentarsi bene a fine visione, nonostante i tanti buchi nella trama, e non solo nel recinto. 

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