El Conde, la recensione | Festival di Venezia
Più divertito, eccentrico e creativo che mai El Conde vive ben al di là del suo spunto eccezionale, esplorandolo con intelligenza e gusto
La recensione di El Conde, il film di Pablo Larrain presentato in concorso al festival di Venezia
Il protagonista di El Conde infatti non è il vampiro Pinochet (fenomenale quando vola in alta uniforme con la mantella) ma è la sua cerchia e i suoi familiari, che vampiri non sono e aspettano invano la sua morte per ereditare le fortune ammassate indebitamente. Esasperati si riuniscono per immaginare la sua morte (con paletti di frassino e tutto il corollario classico) ma non sanno che la donna che hanno ingaggiato e che li interroga (svelando le vere magagne finanziarie commesse da quella famiglia, in un fantastico rapporto di realtà/finzione) è una suora sotto copertura i cui veri intenti anche noi scopriremo lungo il film. El Conde è quindi una specie di processo agli eredi di Pinochet, una sorta di umiliazione creativa di personaggi finti messi di fronte ad azioni realmente commesse, prima di diventare un film sulla seduzione del potere (idea facile) e la distruzione di chi gli è prossimo.
Non stupisce questo esito perché è quello che ha sempre raccontato Larrain (specialmente negli ultimi anni, da quando scrive insieme a Guillermo Calderon), uomini e donne violentati dal potere a cui sì avvicinano o che li ha educati e li domina in un modo o nell’altro, e quando la protagonista di questo film di tutti primi piani a mezzo busto dice proprio di “voler vivere con il diavolo, toccarlo e farsene toccare, per poter umiliare il potere di fronte ai suoi occhi” sembra davvero la sintesi dell’ardore di tanti personaggi di Larrain in una forma da horror classico che potrebbe sembrare una parodia se non fosse realizzata così bene, con così tanto divertimento e gusto per il piacere del cinema.