Eiffel, la recensione

La storia della torre Eiffel è in realtà la storia di un grande amore. Così si perde sia la possibilità di fare un film diverso che di mostrare un'altra idea di Parigi

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Eiffel, su Sky dal 14 febbraio

C’è una grande differenza tra fondare un immaginario, modificare un immaginario e cavalcarne uno già stabilito da decenni di cinema. Il primo caso è il più raro, sono i film capaci di prendere simboli, generi, scenari, idee e fantasie e creare un nuovo luogo comune del cinema che prima non esisteva (Rocky che crea il cinema sportivo moderno, Il padrino che fonda l’immaginario del mafia movie); il secondo è già più comune ma non meno complicato (I figli degli uomini che rivede la distopia contemporanea, Per un pugno di dollari che rivede il western cambiandone i codici); il terzo invece è il caso del resto dei film, che guardano a cosa hanno fatto quelli più audaci e ne replicano le idee con una nuova storia. Un’altra commedia romantica come Harry ti presento Sally, un altro film di fantascienza come Hunger Games, un altro poliziesco come Gomorra.

Eiffel, il film di Sky che racconta dell’uomo che ha ideato, progettato e supervisionato la costruzione della torre che porta il suo nome, aveva la possibilità di lavorare sull’immaginario del simbolo di Parigi (e quindi per estensione di Parigi stessa). Ce l’aveva perché ambientato in un momento cruciale e particolare, quello di Parigi dopo le guerre franco-prussiane, bisognosa di rialzarsi, quello della rivoluzione industriale con il suo ottimismo verso la tecnica, quello dell’Europa che primeggiava quanto a cambiamento. E ancora poteva anche fare la più facile delle estensioni, e raccontare di un momento di scontro tra tecnica e teoria, per parlare del nostro presente. Invece quello che sceglie di fare, anche in una storia così piena di potenziale, è di cavalcare l’immaginario più radicato in assoluto quando si parla di Parigi, il più facile, accessibile, noto e ripetuto, quello dell’amore.

La torre Eiffel come grande simbolo di un amore perduto e mai realizzato. Seguiamo l’ingegner Eiffel nel processo prima politico poi pratico di approvazione, finanziamento e costruzione della torre, con tutte le difficoltà che comporta ma è un pretesto, il film non è mai davvero interessato a quello e lo racconta superficialmente. È tutto un pretesto per farci vedere nei flashback e nel presente come Eiffel avesse un amore folle per Adrienne (ricambiato) ma irrealizzabile perché osteggiato dal caso, dalla società e dal loro mondo. Quest’amore all’ombra della torre (per una volta non è una figura retorica) è per certi versi anche quello che la crea nella forma che conosciamo (lo scopriamo in un finale da arresto immediato di tutta la troupe), quest’amore è quello che dà la spinta alla creazione del simbolo stesso di Parigi e per estensione ne conferma lo stereotipo di città dell’amore.
Uno spreco di buoni attori (Emma Mackey si conferma bravissima, decisamente superiore ai ruoli che le vengono affidati), fotografia convenzionale e computer grafica di medio livello.

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